Il Friuli-Venezia Giulia, grazie alla sua storia di differenti dominazioni e alla sua posizione tra Italia, Austria e Slovenia, è sempre stata una terra di incontro tra diverse culture, una terra che vanta un’incredibile varietà di lingue minoritarie e dialetti. Caso emblematico da questo punto di vista è la Val Resia, un’isolata valle del Friuli nord-orientale, posta all’incrocio tra tre grandi famiglie linguistiche europee: il germanico, il romanzo e lo slavo. Sebbene tale territorio fosse con ogni probabilità già abitato in precedenza, l’origine dell’attuale insediamento si fa risalire al VII secolo, quando delle popolazioni di ceppo slavo giunsero in Italia al seguito di Avari e Longobardi.
Il resiano, riconosciuto dall’Unesco e da esso annoverato tra le lingue in pericolo di estinzione, si è sviluppato a partire dallo “slavo alpino” o “sloveno antico”: una variante linguistica sorta all’epoca delle prime diversificazioni delle lingue slave e da cui deriva anche lo sloveno moderno. Ad oggi la legge regionale nº 26/07 lo tutela come variante linguistica dello sloveno, ma non per questo i resiani si identificano con la cultura d’oltreconfine: al contrario, essi reclamano l’indipendenza della loro lingua (già presente nella Val Resia prima della definizione stessa del termine “sloveno”), considerandosi una popolazione a sé stante con delle tradizioni proprie.
Si è a lungo sostenuto che i resiani avessero un’origine da collocare nei gruppi slavi-orientali, per la particolare somiglianza fonetica della loro parlata con il russo, tale da rendere i due idiomi tra loro intercomprensibili in modo relativamente facile (tale fatto trovò conferma in occasione dell’occupazione cosacca della Carnia durante la seconda guerra mondiale, quando i nativi resiani riuscirono facilmente a capire e farsi capire dagli occupanti che, come seconda lingua, praticavano appunto il russo!). Nel resiano inoltre si sente il forte influsso del friulano, sia per l’alto numero di prestiti sia per la costruzione della frase romanizzata, ma anche del carinziano, rendendo tale realtà linguistica estremamente interessante per gli studiosi e non solo.
La rarissima situazione di isolamento della Val Resia (tra i monti Musi a sud e il massiccio del Canin a nord-est) è stata confermata negli ultimi anni anche da studi genetici sui suoi abitanti che hanno riscontrato la diffusione nei nativi resiani di alcuni rarissimi caratteri quasi del tutto assenti tanto nella popolazione carnica quanto in quella slovena. Ma, nonostante il peculiare isolamento e la ridotta quantità di locutori, è sorprendente notare la varietà di parlate anche all’interno della valle stessa, la cui lingua risulta addirittura frazionata in quattro varianti diverse.
Oltre al patrimonio linguistico, la Val Resia vanta anche un incredibile patrimonio culturale (fatto di costumi, canti, balli, cerimonie) e gastronomico proprio (famoso è in particolare l’aglio di Resia, presidio Slow Food del Friuli-Venezia Giulia).
Per quanto riguarda la musica, ad esempio, la cultura resiana si distingue per l’impiego di due strumenti molto particolari, la zytyra e la bunkula, simili rispettivamente a un violino e a un violoncello, modificati dai suonatori locali (gli “zytyrauzy” resiani accordano infatti i loro strumenti in tonalità più acute rispetto al violino, e al violoncello, composto da sole tre corde, è riservato il ruolo di “basso” che accompagna la melodia principale).
Secondo alcuni studiosi, alla base di tali modifiche vi è il suono della cornamusa, in passato strumento tipico della musica popolare resiana. La musica resiana, con il suo ritmo frenetico e gioioso, è quindi un patrimonio unico assieme alla danza tipica che vi è associata e che viene praticata soprattutto nei momenti di festa come il famoso carnevale (“Pust” in resiano).