E’ stata chiamata rivoluzione ma la riforma della gestione rifiuti e degli imballaggi che è entrata in vigore il 26 settembre 2020 con il DL.116/2020 modificando una parte del codice ambientale del 2006, è ben altra cosa. Il provvedimento, che recepisce la Dir. 2018/851/UE e il Pacchetto per l’Economia Circolare dell’allora responsabile per lo Sviluppo sostenibile Franz Timmermans, rappresenta una vera e propria riforma, per nulla originale negli intenti, volta a “stimolare la competitività” per il settore della gestione dei rifiuti che così facendo diventano una risorsa da sfruttare e valorizzare fin dal momento della loro raccolta.
La principale novità consiste nel maggior numero di figure coinvolte nella gestione dell’immondizia e l’estensione delle responsabilità per lo smaltimento da parte dei produttori, per il quale il Ministero dell’Ambiente deve istituire il Registro Nazionale. Il produttore mantiene quindi la responsabilità della corretta gestione del proprio rifiuto anche quando l’ha consegnato ai soggetti autorizzati al trattamento.
La responsabilità del produttore e del detentore di rifiuti non si esaurisce con obblighi documentali ma si accresce con la gestione pratica dei rifiuti, a cominciare dalla codifica CER fino ad arrivare alla gestione del deposito temporaneo secondo i nuovi criteri.
Semplifichiamo ed entriamo ancora un po’ nel dettaglio con il caso paradigmatico delle utenze non domestiche. In concreto, i rifiuti assimilabili a quelli da utenze domestiche potranno prendere due diverse strade di smaltimento. La prima consiste nell’avvalersi del servizio pubblico di raccolta; la seconda permette di scegliere uno smaltitore privato di propria preferenza. Nel primo caso la scelta dovrà essere portata avanti per i cinque anni successivi e sarà inserita nel regolare conteggio della tassa rifiuti. Nel secondo caso non ci saranno vincoli contrattuali temporali e si potrà procedere con la di detrazione della Tari. Per questo motivo diverse ormai sono le attività economiche che hanno inviato comunicazioni ai Comuni di fuoriuscita dal servizio pubblico di gestione dei rifiuti.
Siamo difronte alla concreta possibilità che il settore sfugga dalle mani pubbliche e dal perimetro di controllo degli enti locali che si troveranno a dover gestire due ordini di problemi: importanti squilibri finanziari all’ interno del loro bilancio e un rischio concreto di proliferazione di discariche abusive. Inoltre non dobbiamo dimenticare che la gestione del servizio in regione già presenta evidenti difficoltà sia dove è già gestito da privati, come a Trieste, che dove è affidato a società in house, vedi il caso di Udine: produzione, tariffe e futuro lavorativo stanno riscaldando il clima politico e sindacale. Infine l’imminente arrivo di un aggiornato piano regionale dei rifiuti urbani di cui poco o niente si conosce, aumenta ancora le incertezze.
Per questi motivi anche l’Anci mostra di essere molto preoccupata e ha chiesto al Ministero dell’Ambiente e al Ministero dell’Economia e delle Finanze, “urgenti interventi risolutivi – in assenza dei quali sarà inevitabile un incremento del prelievo su ampie categorie di utenza (piccole e medie imprese e utenze domestiche) – e l’istituzione di un tavolo tecnico di confronto per esaminare le ricadute del D.lgs. 116/2020 sul sistema di gestione dei rifiuti nel suo complesso”.