Perché la classe politica italiana, soprattutto a destra ma anche nel centrosinistra, guarda il reddito di cittadinanza con più o meno malcelata insofferenza e vorrebbe abolirlo? E, dato che la questione, centrale per la qualità della nostra già precaria democrazia, nasconde un aspetto fondamentale per la comprensione delle dinamiche politiche delle ultime settimane, perché i politici italiani odiano questa misura presente in quasi tutta l’Europa? Salvini che vuole “stornare” i soldi che servono per il rdc sulle cartelle esattoriali e Quota 100, la Meloni che parla di “metadone di stato”, Renzi che vuole farci su l’ennesimo referendum, Berlusconi che lo considera un insopportabile elemosina, i diversamente democratici che fanno mille distinguo, perché il reddito di cittadinanza è al centro di furiose polemiche da diverse settimane?
La risposta è semplice e complessa allo stesso tempo, fatta di diversi strati di comprensione e interpretazione della realtà, e offre il destro ad una molteplicità di piani di lettura: innanzitutto, come al solito, la pista dei soldi è sempre quella giusta: gli imprenditori, rappresentati dal triste burocrate confindustriale Bonomi, comandano, e non vogliono un sostegno alle classi subalterne che mette in discussione, per la prima volta, le condizioni semischiavistiche del lavoro da loro “offerto”, e tanti, grazie ai danari elargiti dallo stato, hanno potuto rifiutare un lavoro pesante e malpagato, ore e ore a sgobbare nei bar, nei ristoranti, la nuova Mecca del piccolo capitale nostrano, nelle campagne, in tanti capannoni, per pochi euro. E i politici stanno eseguendo il loro penoso compitino scritto a Viale dell’Astronomia, con il solo M5S a fare da deterrente politico avendo implementato la misura, vero, e unico, grande merito a loro attribuibile in questa legislatura, ovviamente con il concorso di Rai e Mediaset a reti unificate.
Ma basta questa semplice valutazione delle forze in campo per giustificare una guerra senza quartiere al rdc? O c’è qualcosa di più profondo, di non detto? Crediamo di sì. In un paese come il nostro, appesantito da una lunghissima tradizione cattolica che ha sempre visto l’aiuto alle classi povere come una sua prerogativa intangibile, si è sedimentata una cultura e una percezione della lotta alle nuove e vecchie povertà considerata come un atto caritatevole, simile ad una sorta di elemosina moralistica che deve “investire” il povero ogni tanto, e comunque sempre con il ricatto perenne che, se il deprivato di ricchezza e proprietà non si comporta “bene”, ovvero se decide un giorno di ribellarsi all’ingiustizia perpetuata dai ricchi e proprietari, verrà defraudato anche di questi spiccioli con i quali i ricchi, preti e laici, si lavano la coscienza periodicamente.
E’ chiaro che una misura strutturale, monetariamente più generosa delle altre che l’hanno preceduta, stabile nel tempo, incrina il potere e la presa ideologica delle classi agiate, dietro le quali fa capolino la morale vaticana, nonostante la cosmesi bergogliana. Questa istanza simbolica che viene da lontano si è saldata, in un combinato disposto micidiale, con l’egemonia del paradigma neoliberale che è l’ideologia di riferimento dell’Italia dalla caduta del Muro in poi: la possibilità di sottrarsi al ricatto padronale, lavoro precario in cambio di salari da fame, è stata vissuta dai prenditori nostrani come un insopportabile affronto di una classe politica di “parassiti”, di “assistiti”, di “analfabeti funzionali”, per citare le definizioni più gentili che i giornali e le tv pagate dai capitalisti italici hanno dato dei parlamentari della Repubblica. In sintesi: la tradizione cattolica in combinazione con il liberismo di stampo sudamericano che sembra essere il nostro destino futuro, fanno da sfondo ad un atteggiamento di insofferenza, se non proprio di aperta ostilità, che molta parte della classe politica nutre nei confronti del reddito famigerato, in questo, dobbiamo riconoscerlo, sostenuta da ampie porzioni della società italiana che non ha mai veramente metabolizzato questa misura.
Al fondo della questione giace il nocciolo politico e ideologico vero: lo stato, per la prima volta, si è fatto carico della povertà nel paese con una legge che ha riconosciuto ai poveri e subalterni un sostegno non simbolico, e questo ha dato la stura all’odio di strati piuttosto estesi della società civile e politica italiana nei loro confronti, questo è il dato fondamentale, e questo è un merito che va dato ai pentastellati. Dietro alla campagna propagandistica orchestrata dal capitale contro il reddito di cittadinanza, c’è lo stato, questo è il vero obiettivo, uno stato non più spettatore passivo, ma attore decisivo della vicenda sociale. E questo è risultato insopportabile per i capitalisti italiani. E deve essere smantellato.