La tornata elettorale amministrativa di ottobre ci consegna la fotografia di un’Italia stanca e frustrata, impoverita e vilipesa, non ascoltata da istituzioni sempre più chiuse e autoreferenziali, svuotate di contenuto democratico da troppo tempo. Con Draghi questo processo che viene da lontano ha raggiunto un’intensità inusitata, una dimensione inaudita: il banchiere al governo si disinteressa ostentatamente del “gioco politico” e del processo elettorale, e quindi in senso generale della democrazia tout court, rispondendo solo a poteri esterni al perimetro istituzionale e statuale, da Confindustria all’Unione europea, con la benedizione dell’inquilino del Quirinale, lo ha dichiarato candidamente all’indomani del primo turno. Pertanto, se Parlamento e Governo si disinteressano del popolo “sovrano”, perchè gli elettori/cittadini dovrebbero partecipare in massa alle elezioni? Ovviamente, il popolo sempre meno sovrano ricambia lo scarso interesse dei padroni del vapore con gli interessi.
E quindi: al primo turno si è recato alle urne il 54,69% degli aventi diritto, in pratica un elettore su due è rimasto a casa. L’anno scorso alle amministrative votò il 65,62%, nel 2019 il 67,68%, cinque anni fa il 61,52%, certo, il numero dei comuni è diseguale, ma le elezioni locali sono sempre state comunque un test politico importante. Se andiamo indietro nel tempo le percentuali erano ancora più alte, per arrivare alle affluenze “bulgare” negli anni ’70, in sintesi: con un andamento lento ma costante possiamo notare come sempre meno elettori si recano alle elezioni, un pessimo risultato per la qualità della nostra democrazia, già commissariata dall’Ue e ridotta ad un involucro vuoto, a luogo dove si certificano decisioni prese in centri decisionali non democratici. Ma se andiamo a vedere nello specifico delle città, il quadro è ancora più desolante: a Milano al primo turno ha votato il 47,6%, rispetto al 54,6% del 2016, e al 67,5% del 2011, a Napoli il 47,19%, cinque anni fa il 54,12%, nel 2011 il 60,33%, a Torino al primo turno vota il 48,06%, nel 2016 aveva votato il 57,18%, nel 2011 votò il 64,63%, per non parlare di Roma, la capitale d’Italia, che vede un’affluenza penosa: ha votato il 48,8% degli elettori, contro il 57% del 2016. Se poi diamo una scorsa ai ballottaggi meglio stendere un velo pietoso: ha votato il 43,94 degli aventi diritto, a Roma il 40,68%, a Torino il 42,13%, il secondo turno delle elezioni si è svolto, in pratica, nell’indifferenza generale.
Non ci possiamo dolere più di tanto, per la verità, dopo due decenni di alternanza stanca e inefficace, quella della Seconda Repubblica eternamente in attesa come Godot di un approdo politico e istituzionale soddisfacente, con un centrodestra e un centrosinistra intercambiabili, e dopo un decennio ad alto tasso di destrutturazione populista, che ha visto lo spazio pubblico saturato dall’odio antipolitico e “anticasta”, che in realtà è stato un modo per indebolire, con il favore della grande finanza e della stampa padronale, l’unico argine democratico in mano al popolo: la politica, appunto, ma una politica innervata dai grandi interessi popolari e di classe, oggi purtroppo il grande assente e rimosso del dibattito politico. Se ogni giorno, da tre decenni almeno, tutti, a reti unificate, con i social a mettere il sigillo della loro “geometrica potenza”, hanno bombardato i cittadini con la propaganda martellante a base di “quanto è sporca la politica”, un affare di sfaccendati nel migliore dei casi, e nel peggiore di ladri, poi non possiamo piangere a latte abbondantemente versato dei risultati raggiunti. Tutti, in alto e in basso, èlites e popolo, hanno congiurato per arrivare dove siamo oggi, chi con lucida consapevolezza, chi in buona fede e ingenuamente, ma nessuno può chiamarsi fuori da questo esito nefasto. Il simbolo di questo processo degenerativo del tessuto democratico, e delle possibili soluzioni prontamente abortite, è il Movimento di Grillo e Conte, partito come una nave corsara, un virus inoculato nel “sistema” capace di farlo collassare, un antipartito che avrebbe aperto le istituzioni come una scatoletta di tonno, e premiato per questo nel 2018 dagli elettori, arrivato nel 2021 ad essere una costola ininfluente del Pd, il vero partito-stato architrave dell’architettura di potere fondata sul Sacro Vincolo Esterno, un appendice di quel sistema che si voleva combattere senza più nerbo e senza più popolo, un capolavoro al contrario, in soli tre anni.