Negli ultimi tempi a livello europeo ha destato preoccupazione la posizione assunta dalla corte costituzionale polacca rispetto alla legislazione europea. Riassumendo in breve, la corte ha dichiarato che la costituzione polacca è sovraordinata rispetto alle normative europee e che se queste ultime non rispettano il dettato costituzionale polacco, non possono essere recepite nella legislazione statale.
Da qui tutti gli alti lai e peana che si sono sentiti dai partiti più europeisti e dalla cancellerie europee nonché dalle stesse istituzioni UE come il parlamento e la commissione. In definitiva le critiche erano indirizzate contro una interpretazione, quella polacca, che non accettava un ruolo così invadente della UE e dei suoi organi nella legislazione interna.
Ora, quando parliamo di Polonia ma anche di Ungheria, abbiamo due tipi di problemi, uno che riguarda le figure che attualmente governano questi due paesi che a torto o a ragione vengono considerati estranei alla cultura democratica della UE (anche se ci sarebbe molto da dire su come viene declinata questa cultura nella parte occidentale dell’Europa vedi il caso spagnolo), l’altro e forse quello più importante che ci interessa anche a noi come Italia ma anche agli altri paesi europei, non ultima la Germania, riguarda il grado di autonomia legislativa dei paesi UE rispetto alle istituzioni comunitarie e alle sue normative.
Il 25 ottobre un articolo sul sito della prestigiosa istituzione Chatham House riprendeva quest’ultima interpretazione. Fino a che punto la legge poteva essere utilizzata per portare avanti l’integrazione europea? Per capire questa domanda e il problema polacco, ma non dobbiamo dimenticarci che seppur in maniera diversa anche la corte costituzionale tedesca ha posto questo problema, dobbiamo comprendere il ruolo che la corte di giustizia europea ha avuto nel processo di integrazione europeo.
La sintesi che l’articolo di Chatham House propone ci aiuta in tal senso: “Storicamente “l’integrazione attraverso il diritto” è stata fondamentale per il progetto europeo e la Corte di giustizia è stata un’istituzione chiave che ha guidato l’integrazione, di solito beneficiando di ciò che Erik Stein chiamai “benigna negligenza da parte dei poteri forti e dei mass media”. Anche quando l’integrazione europea sotto forma di trattati si è bloccata negli anni 1960 e 1970, l'”integrazione giudiziaria” attraverso la Corte di giustizia europea è continuata, compresa la sua notevole decisione del 1964 che il diritto dell’UE era supremo. Questo auto-potenziamento della Corte di giustizia europea – ciò che un altro studioso del costituzionalismo europeo Joseph Weiler chiama “una quiete rivoluzione” – era possibile perché c’era un “permissivo consenso” negli Stati membri che hanno permesso all’integrazione giudiziaria di continuare in gran parte incontrastata. Ma questo è ora cambiato in quanto sia i politici che i tribunali nazionali sono più disposti a contestare ciò che vedono come un ruolo giudiziario eccessivo.”
Quindi possiamo tranquillamente affermare che uno dei nodi principali della mancata integrazione europea sta venendo al pettine. E sta venendo al pettine perché un parte sempre più significativa dell’opinione pubblica dei vari paesi della UE spinge in tal senso e quindi anche la politica, in questa fase con i partiti populisti che hanno lasciato il segno nel decennio trascorso, ne sta subendo i contraccolpi.
Una domanda però è inevitabile a questo punto, come verrà sciolto questo nodo?