Per il momento, la NATO non è pronta al conflitto diretto con la Federazione russa. A Vilnius si è tenuto un nuovo vertice dell’organizzazione da cui è emerso che, a dispetto dei consueti proclami retorici e della mal simulata posa bellicista – estesa ora persino al quadrante indo-pacifico –, l’Alleanza militare del Nord Atlantico deve trovare un modo ‘elegante’ per uscire dal pantano ucraino in cui si è immersa. L’Alleanza deve, inoltre, cercare di salvare la propria reputazione di inscalfibile potenza planetaria.
Di fatto, l’ennesimo reiterato tentativo del Presidente ucraino di trascinare ufficialmente in guerra l’intero occidente – unico modo plausibile di addivenire a un pieno successo militare contro la Russia e annullare le ingenti perdite territoriali subite – nemmeno a Vilnius ha trovato soddisfazione. Chissà se nella mente dell’emozionante stella televisiva Volodimir Zelensky ha cominciato a farsi strada il sospetto di essere soltanto una pedina utile agli scopi geopolitici dei neoconservatori ‘democratici’ americani. Il verboso comunicato ufficiale dedica all’eterna promessa di ingresso degli ucraini nella NATO poche laconiche righe: “Saremo in grado di estendere un invito all’Ucraina ad aderire all’Alleanza quando gli alleati saranno d’accordo e le condizioni saranno soddisfatte”.
I dubbi si affollano. Vorrà ciò dire che la neutralità dell’Ucraina, tanto a lungo supplicata da parte russa (e principale ragione della guerra in corso), potrebbe risalire in superficie dal gorgo dei contatti diplomatici? Persino Zelensky è stato disposto, durante i negoziati in Turchia nel marzo-aprile 2022, a rinunciare all’entrata nella NATO. Ma gli Stati Uniti e la Gran Bretagna gli hanno garantito una vittoria militare certa e schiacciante, convincendolo a lasciare la trattativa e a proseguire a tempo indefinito le ostilità. Vorrà, il rinvio dell’adesione, dire che occorre trovare una tregua – da presentare comunque come vittoria – la quale salvi la faccia del Presidente Joe Biden evitandogli di andare incontro a una duplice cocente sconfitta, militare ed elettorale?
Ammettere la resa militare di 30 Paesi (ora 31) che in termini di risorse finanziarie, materiali, logistiche, politiche e di intellligence, fin troppo hanno investito nell’annientamento della Federazione russa, implicherebbe poi una bruciante e lacerante disfatta per la NATO, la quale necessiterebbe di anni per riprendersi.
La vicenda ha quindi assunto i tratti di un conflitto esistenziale per ambedue i contendenti, la NATO e la Russia.
Gli Usa si sono rifiutati di ascoltare le legittime preoccupazioni russe quando Putin, prima della guerra, invocava un accordo generale di sicurezza europea. La vittoria della NATO su Mosca per interposta manovalanza Ucraina era data per certa al vertice dell’Alleanza atlantica svoltosi a Madrid un anno fa e, invece, il conflitto si è sviluppato in senso contrario.
L’obiettivo occidentale strategico di eliminare la Russia dalla scena internazionale delle potenze e farne uno stato vassallo – con tanto di enormi risorse da mungere – permane, ma la sua realizzazione si fa sempre più difficile. La NATO ha bisogno di tempo per poter effettuare gli investimenti utili all’ampliamento delle capacità militari dei 31 Paesi alleati. Non a caso, buona parte del documento di Vilnius è concentrata sull’aspetto dell’incremento delle spese militari e sull’ammodernamento di sistemi e apparati bellici.
L’Alleanza conta, tra qualche anno, di potersi lanciare con una certa sicumera nella propria campagna di debellamento delle minacce (dalla sua stessa arroganza provocate) all’egemonia globale statunitense, all’uopo acconciata per apparire l’unico e irenico ordine internazionale possibile. Al paragrafo 6 del Comunicato si legge nientemeno che “Le ambizioni dichiarate e le politiche coercitive della Repubblica popolare cinese sfidano i nostri interessi, la nostra sicurezza ei nostri valori”. Peccato che siano gli statunitensi a perseguire una situazione di attrito che contrasti l’ascesa della Cina, come dimostra l’atteggiamento protezionistico delle ultime amministrazioni di Washington, la messa in opera di boicottaggi come l’atto che restringe l’accesso cinese alle tecnologie per la produzione di microchips, l’ampliamento delle intese – come l’Aukus – che mirano a costituire un ‘cordone sanitario’ che limiti il raggio d’azione cinese nell’indo-pacifico, le continue provocazioni per il tramite di Taiwan.
Dopo avere ottenuto il disfacimento dello stato sociale, l’agenda politica dei neoconservatori occidentali trova così definitivo compimento. Dopo il depotenziamento dei servizi pubblici e sociali, ecco il militarismo sperticato. Il cerchio si chiude. E l’opinione pubblica dei regimi democratici? Coerentemente, prepariamoci a un’ulteriore massiccia torsione propagandistica e culturale, elemento imprescindibile per la coltivazione di una fredda mentalità intrisa di bellicismo in stile ‘guerra di civiltà. Lascito testamentario del nostro passato di ‘benedette’ potenze coloniali.