La lamentazione continua ed estenuante su quanto sia inutile e impotente l’Europa nella dimensione internazionale è venuta a noia, e per un motivo fondamentale: questa particolare concezione di Europa che ci governa ed è il prodotto di decenni di evoluzione storica non può avere una posizione politica autonoma rispetto agli Usa, non può essere un contraltare “illuminato” rispetto alle maniere muscolari degli Stati Uniti e Israele, non può avere una posizione comune in politica estera di una qualche utilità, per la semplice ragione che questa “Europa” è solamente un’ area di mercato e di libero scambio, uno spazio spoliticizzato governato dal dogma della competitività e della concorrenza, depurato da conflitti e alternative reali nel quale vige il dominio del capitalismo finanziario.
D’altronde, lo vediamo ogni giorno con i governi costretti ad elemosinare col cappello in mano la benevolenza dell’inappellabile “giudizio dei mercati”, che, se non vengono soddisfatti con il sacrificio rituale di un altro pezzo dello stato sociale, manovrano lo spread per punire i colpevoli. Per cui è inutile pretendere dall’Europa ciò che non può essere, che sia una entità politica quando non può esserlo per costituzione materiale e formale.
Lo aveva capito già Carl Schmitt, il geniale politologo e giurista conservatore, nel suo magistrale “Il concetto di politico”, saggio del 1927 rimaneggiato negli anni ’30, che preconizzò, in una delle pagine più dense, quello che sarebbe stata l’Europa di Maastricht quando, spingendo al massimo la sua critica del liberalismo, scrisse che l’estremizzazione dei tratti costitutivi del liberalismo economico avrebbe portato alla costruzione di uno spazio pubblico nel quale la politica sarebbe stata bandita. Quello che è l’Unione Europea attuale, praticamente. Non solo, il bisogno di politica sarebbe stato “appaltato” ad altre potenze, gli Usa nel nostro caso. Pagine che sembrano scritte in queste ore, di una potenza profetica incredibile.