Come è noto, l’Unione Europea, affiancandosi senza emettere un sibilo alle decisioni politiche di Washington, ha sin dall’inizio della crisi ucraina assunto una posizione decisamente antirussa.
Nonostante la recisione di molti legami commerciali e, soprattutto, la rinuncia alle forniture di materie prime energetiche abbiano danneggiato i Paese europei, l’Unione Europea ha preferito schierarsi con gli USA e con l’Ucraina nella guerra ‘per procura’ contro la Russia.
Potrebbe essere che, nel quadro di un ipotetico bilancio di lungo periodo, secondo la dirigenza europea i benefici che potrebbero venire all’Unione dall’incorporazione del Paese ucraino nella sfera di influenza occidentale supereranno i costi derivanti dalla fine della pace con la Federazione russa.
(Dando inoltre assolutamente per scontato che la sfida alla Russia non degenererà in un conflitto più esteso, ‘mondiale’ nella peggiore delle evenienze).
Si intravede, in sostanza, il mitico assunto dell’ampliamento del mercato capitalistico, il principale caposaldo dell’Unione Europea.
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Il 14 dicembre 2023, il Consiglio Europeo (1) ha stabilito di aprire negoziati con l’Ucraina per un suo prossimo ingresso nell’Unione Europea. (Il Consiglio ha anche deciso di inaugurare lo stesso tipo di negoziati con la Moldova e di concedere alla Georgia il rango di candidato all’entrata). “Un fatto storico”, per Ursula von der Leyen.
E’ rimasto invece nel ‘limbo’ il proposito di elargire ancora 50 miliardi di euro al governo di Zelensky, per la cui attuazione occorre una revisione del quadro finanziario pluriennale dell’Unione.
La proposizione di procedere all’avvio dei negoziati segue la richiesta di adesione avanzata dal Paese di Zelensky il 28 febbraio 2022 e la decisione del Consiglio Europeo – nel giugno dello stesso anno – di concedere all’Ucraina lo status di candidato all’ingresso.
Quanto vi è di ‘realistico’ nel proclama del Consiglio Europeo e, inoltre, quando si parla di Ucraina di quale entità statuale si tratta?
In ottemperanza ai ‘Criteri di Copenaghen’, un Paese europeo può accedere all’Unione se ha istituzioni stabili che garantiscono la democrazia, lo stato di diritto, i diritti umani e la protezione delle minoranze; una efficace economia di mercato e la capacità di far fronte alla competizione all’interno del mercato unico; la capacità di adempiere agli obblighi di appartenenza all’Unione, compresa quella di mettere in pratica la legislazione europea e di aderire agli obiettivi politici ed economici dell’Unione. (2)
Inoltre, è compito della Commissione Europea passare al setaccio l’intera legislazione del Paese candidato all’ammissione, al fine di verificarne la compatibilità con quella comunitaria. Praticamente, l’Ucraina dovrà partire da zero!
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Si può sempre supporre che le enunciazioni di principio, all’atto del riempimento di significato fattuale potranno mutare pelle, ma in questo caso è di una certa evidenza l’astrusità della decisione, riguardante l’Ucraina, che è stata assunta da 26 dei 27 Stati membri della UE.
Una decisione sensata si dovrebbe assumere avendo dinanzi a sé una condizione di attualità certa e stabile nonché una razionale cornice di riferimento che consenta una qualche programmazione futura.
Niente di tutto questo ha animato i Capi di stato e di governo che si sono pronunciati a proposito dell’allargamento della UE all’Ucraina. Palesemente, per quanto si possano ‘falsare le carte’ (anche questo ci si può attendere dalla classe politica europea) nessuno requisito di accesso potrà per moltissimi anni essere soddisfatto dall’Ucraina. Neanche se la guerra in corso sul suolo ucraino fra la NATO e la Federazione russa dovesse terminare domani.
Un Paese devastato perché ‘eletto’ dalla NATO quale luogo di scontro bellico dove dare una disciplinante lezione alla Russia, dai confini incerti e territorialmente già ridimensionato proprio perché non vi venivano protette le minoranze, in costante spopolamento e con una economia completamente disfunzionale, alla quale ci vorranno molti anni di pace stabile (non garantita) per riprendersi. Un Paese allo stremo, tenuto in collegamento a un polmone artificiale (alimentato con finanziamenti attinti dai bilanci degli ‘alleati’) appena sufficiente per mantenere in attività gli essenziali apparati dello stato. Un Paese che, una volta stabilito ciò che ne resterà in termini di consistenza territoriale dovrà cedere alle imprese occidentali, per riuscire a sdebitarsi e ricostruirsi – al netto dei fondi comunitari -, tutte (letteralmente tutte) le risorse e le attività di cui potrà disporre. (Una catastrofe annunciata, una ‘colonia’ predestinata). Un Paese nel quale i partiti di opposizione al regime dell’ex attore comico Zelensky sono stati estromessi dalla vita politica e difetta la libertà di parola. Lo stesso Zelensky non indice le elezioni presidenziali, sapendo che da esse scaturirebbe la sua caduta.
È da tenere in per conto, poi, che se un Ucraina postbellica entrasse nella UE, ciò vi provocherebbe uno sconquasso tellurico dalle conseguenze incalcolabili.
Il bilancio comunitario verrebbe sconvolto dalla necessità di riorientare drasticamente i fondi di coesione (in primo luogo quelli destinati alla politica agricola), scontentando i Paesi che ne risultano oggi beneficiari e che diverrebbero presto contributori netti. Un peso al quale andrebbe sommato il promesso ingresso nell’Unione di altri paesi, come quelli balcanici, la Moldova e la Georgia. I politici del Consiglio saranno pienamente consci della scommessa che tutto questo comporterebbe? Si potrebbe pensare di ampliare di diversi ordini di grandezza la dimensione del bilancio comune aumentando i contributi dei Paesi membri ‘centrali’, ma saranno tutti disponibili a cedere ulteriori risorse e sovranità? Un interrogativo non secondario, soprattutto alla luce dell’evidenza che gli stessi Paesi fondatori della UE, tra cui l’Italia, non riescono a mettere in piedi un sistema economico che garantisca un benessere sufficiente per vasti strati della loro popolazione.
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Infine, ma di pari ordine di importanza, vi è il fatto che i conti si fanno anche con l’altro belligerante, ossia con la Russia. La quale avrà, dal suo canto, i propri obiettivi (i quali evolvono di pari passo con l’evoluzione della situazione ‘sul campo’). È utile ribadire che qualsiasi decisione sensata dovrebbe avere luogo nell’ambito di un quadro sufficientemente chiaro e definito della situazione, attuale e prossima ventura. Qui, invece, si è ‘ragionato’ in un ambito nebuloso e massimamente incerto.
Quello del Consiglio Europeo è, in fondo, niente altro che un annuncio di mera propaganda politica. Come ha detto lo stesso Presidente del Consiglio, Charles Michel: “Questa decisione è un segnale molto forte, un segnale di speranza, un segnale di fiducia. È una scelta chiara quella che stiamo compiendo, perché siamo assolutamente convinti che l’allargamento sia un investimento nella pace, nella sicurezza e nella prosperità. E’ un messaggio politico molto forte quello che inviamo ai cittadini europei, ai cittadini dei paesi candidati e al resto del mondo”.
Un segnale, appunto. Nulla di più.
Anche perché, oltre all’oggettiva difficoltà di portare i propositi declamati a compimento, sarà interessante vedere cosa succederà se gli Stati Uniti – dove è probabile un cambio alla Presidenza – dovessero ritirarsi dal conflitto con la Federazione russa e perdere interesse rispetto alla ‘causa’ ucraina.
NOTE
- Remarks by President Charles Michel following the European Council
meeting of 14 and 15 December 2023 – Consilium (europa.eu) - EU enlargement – European Union (europa.eu)