La morte di Berlusconi non chiude una fase politica, come spesso capita quando un capo politico che ha rappresentato una intera epoca informando di sé la vita pubblica in ogni ambito significativo muore, ma, anzi, ne apre un’altra gravida di conseguenze per gli italiani e per gli assetti politici e istituzionali del paese, e il lutto nazionale e i funerali di stato non ne sono che un prodromo tutt’altro che rassicurante. D’altronde, il “fenomeno” Berlusconi ha travalicato ogni limite e confine, fuoriuscendo dal perimetro politico, istituzionale, ideologico dato fino alla sua “discesa in campo”, e inaugurando una nuova era della politica italiana totalmente differente dalla Prima Repubblica, tanto che si è soliti definire il 1994 come una data-spartiacque che ha segnato l’inizio della Seconda Repubblica, una fase della vicenda repubblicana completamente diversa dal cinquantennio precedente.

Dalla democrazia bloccata fondata sulla centralità del partito-stato della Democrazia Cristiana circondata dai satelliti laici e socialisti, imperniata sull’interdetto anticomunista, il cosiddetto Fattore k che ha precluso ai comunisti l’accesso al governo del paese, l’Italia passò alla democrazia dell’alternanza di stampo anglosassone, incentrata sull’accesso al potere consentito alle due coalizioni, centrodestra e centrosinistra, che condividevano nella sostanza il medesimo sfondo normativo ed economico, differenziandosi nel giudizio sul centro di gravità del sistema, Berlusconi stesso, che con il suo corpo, i suoi eccessi, la sua costitutiva tracotanza ha informato di sé la politica e l’ideologia nazionale, fungendo da motore delle relazioni politiche e istituzionali della Seconda Repubblica. Mai, a parte il Ventennio mussoliniano, un uomo aveva incarnato a tal punto un’intera epoca politica, in un eccesso superomistico che non aveva paragoni con nessun altro protagonista della storia repubblicana, né, per la verità, della fragile democrazia post-unitaria di marca liberale.

L’uomo, ben prima di incidere nella realtà politica italiana, aveva mutato nel profondo l’antropologia nazionale grazie alle sue televisioni, mutuando e trasferendo nel tessuto nazionale, sociale e simbolico, il modello della televisione commerciale americana, il vero veicolo ideologico su scala globale del paradigma neoliberale incentrato sul Washington Consensus, destrutturando la società fondata sulla “Repubblica dei Partiti”, secondo la fortunata espressione di Pietro Scoppola, e sul suo modello consociativo politico-sociale, e inaugurando la progressiva personalizzazione assoluta dello spazio politico, che aveva visto i suoi albori con Craxi, sostituendo all’alfabetizzazione politica di massa tipica dell’Italia dei partiti, l’alfabetizzazione della televisione commerciale che propalava il mito yuppista del danaro, del successo, dell’impresa quale unico attore socialmente legittimato, della semplificazione totale dei linguaggi e dei contenuti.

In definitiva, la discesa in campo del 1994 non sarebbe stata possibile senza i rutilanti anni Ottanta delle sue televisioni patinate. Poi è venuto tutto il resto, la guerra santa contro la magistratura, la distanza proclamata nelle campagne elettorali con Bruxelles salvo accettarne nella prassi di governo i dettami, il linguaggio populista, lui è stato il primo vero populista, che ha abbassato drammaticamente il livello di relazioni politiche del paese, la fedeltà alle “guerre democratiche” a stelle e strisce, il sessismo esasperato da anni ’50 eletto a sistema di governo tra gli applausi dei suoi corifei al grido “è un fatto privato!”, una Rivoluzione Liberale sempre invocata ma mai messa in pratica, il perenne taglio delle tasse American style come specchietto per le allodole piccolo-borghesi del paese, l’anticomunismo in assenza di comunismo che è stato il suo vero marchio di fabbrica e il declino finale con l’espulsione, complice la Bce, dal governo nel 2011.

Infatti, diciamo la verità, Berlusconi è finito molto prima della sua morte, come fenomeno politico, ma il berlusconismo è continuato e informa di sé ogni fibra dell’Italia, e questa è stata la sua vera vittoria politica e culturale. E di questo carburante ideologico ha bisogno la Meloni, e la destra di governo, per tornare all’assunto iniziale, per mettere in campo la più grande operazione politica dalla Seconda Repubblica, per realizzare il sogno che B. non ha mai potuto realizzare, ovvero la torsione presidenzialista delle istituzioni della Repubblica, la più grande trasformazione politica, istituzionale e culturale alla quale gli italiani abbiano mai assistito.

Questo è il senso dei funerali di stato e del lutto nazionale imposti al paese, per costruire la figura di Berlusconi come Padre della Patria e come Padre Costituente della nuova Italia presidenzialista, che con il favore popolare acquisito grazie alla mitologia costruita ad arte nei giorni del lutto dia la spallata definitiva all’assetto costituzionale uscito dal dopoguerra e inauguri la nuova era presidenziale a trazione destra.

Questo è il senso politico profondo di queste giornate, una sfida politica da far tremare i polsi, e alla quale sembra rispondere a tono il solo Conte che decide di non partecipare ai funerali e al clima di santificazione generale che ha pervaso l’Italia, non certo per uno sgarbo umano ma per marcare una distanza politica, e per offrire un’alternativa all’altra Italia, che pure c’è, esiste e ha bisogno di essere rappresentata.