Abbiamo visto che artiste con mariti importanti e affermati vengono spesso schiacciate e considerate meno delle figure maschili al loro fianco. Ma questo fenomeno non coinvolge la totalità delle donne con un’inclinazione per l‘arte, poiché, come vedremo, alcune di esse si sono affermate grazie alle loro idee e alla loro forza di volontà.

Gunta Stölzl nasce nel 1897 in Germania, frequenta la scuola di arti applicate di Monaco di Baviera e nel 1919 si iscrive al Bauhaus partecipando al laboratorio di tessitura. La sua figura è interessante ed importante poiché fu una delle prime donne a diventare prima assistente tessile e in seguito a dirigere lo stesso laboratorio femminile a partire dal 1926. Il suo lavoro, anche successivo, ha favorito il passaggio dalla produzione artigiana fatta da pezzi unici, ad una produzione su scala industriale.

Classe di tessitura di Gunta Stölzl, 1927

Laboratorio Tessile del Bauhaus, 1928

Come già accennato, le uniche donne ammesse al Bauhaus venivano indirizzate al laboratorio tessile o di fotografia, e questo provocava un’insoddisfazione in molte di esse che aspiravano ad incarichi più importanti, più “maschili” e che volevano entrare a far parte delle officine maggiori.

Una di queste era Marianne Brandt, una designer nata in Germania nel 1893. Anche lei si iscrive al Bauhaus dove conosce i professori Josef Albers, Moholy-Nagy, Paul Klee e Vasilij Kandinskij che la aiutano a specializzarsi nella lavorazione dell’argento.

Questa incredibile donna fu la prima a cambiare le regole della scuola accedendo come studentessa al laboratorio di metallurgia; dopo soli 3 anni ne divenne collaboratrice e, nel 1928, ne assunse la vicedirezione.

Teiera, 1924

Dopo questi considerevoli incarichi, collabora con Walter Gropius a Berlino, negli anni ’30 diventa la responsabile del design presso Ruppelwerk a Gotha, negli anni ’50 insegna alle accademie di belle arti di Dresda, di Berlino e nello stesso periodo è consulente di arti applicate.

Marianne è l’esempio di donna che non ha bisogno di un uomo per farsi strada, per dimostrare all’interna Germania la sua bravura in un campo non prettamente femminile.

Uno dei suoi cavalli di battaglia, fu la produzione di Kandem, uno dei modelli di lampade più famoso nella progettazione Bauhaus, riprodotti ancora oggi come classici. Marianne Brandt studiò molto la concezione di lampada, sia da tavolo che da soffitto e formulò una dottrina su questo concetto, rifiutando l’applicazione del diffusore ordinario opaco dalle forme arbitrarie e mettendo in risalto la lampadina in sé. Ovviamente la reazione da parte degli uomini tradizionalisti fu violenta e Brandt fu accusata di nudismo e di accentuare in modo preponderante l’aspetto tecnico con soluzioni di dubbia utilità. Contrariamente le sue ideazioni non seguivano esclusivamente il gusto o la moda ma si rifacevano ad una teoria che seguiva l’utilità, la logica e la sintesi.

 

Lampada Kandem, 1927

Un accenno non può mancare ad Hannah Höch, artista tedesca che non solo partecipa attivamente come unica donna alle attività del Dada berlinese, ma lotta per il riconoscimento del suo ruolo al di fuori della mera sfera familiare e domestica. Tappa importante della sua vita lavorativa è la fiera Dada di Berlino del 1920, nella quale espone un collage fotografico (fotomontaggio) in qualità di artista pura, mostrando codici espressivi paritetici agli artisti uomini. Grazie al lavoro che stava conducendo nella casa editrice Ullstein, e grazie alla crescente diffusione di immagini nella cultura di massa, scopre e comprende il potenziale della fotografia e di come essa poteva essere elaborata a scopo narrativo.

Tagliato con il coltello da cucina dada attraverso l’ultima epoca culturale del ventre da birra tedesco, 1919

Con i suoi fotomontaggi ha voluto distruggere l’omogeneità visiva e testuale delle rappresentazioni promosse dalla propaganda come a sottolineare la vera e propria rottura delle forme spaziali.

Indische Tänzerin: Aus einem ethnographischen Museum (Danzatrice indiana:da un museo etnografico), 1930