La destra fa la destra, si dice, non bisogna meravigliarsi, il problema è che la sinistra o non esiste più, o la sua versione light e neoliberale non è più sinistra. In gran parte è vero, io stesso l’ho scritto tante volte. E però, onestamente, questa constatazione non “copre” tutta la problematicità della situazione attuale, che è più complessa di quel che appare. Ovvero: è indubbio che la destra fa la destra, ma si è sempre presentata con un volto “sociale”, barricadero, presuntamente popolare, anzi, pop, per essere più precisi, attenta ai bisogni delle periferie, degli esclusi, alle viscere del paese.
E, invece, dai primi provvedimenti presi, manovra compresa, appare per quello che è sempre stata, nel fondo, e cioè ferocemente classista e antipopolare, al di là della vernicetta sociale da mettere in bella mostra per le serate di Rete 4, padronale nel midollo e fedele ai dettami euroatlantici. D’altronde, ma quando mai la Meloni, nello scorso decennio, ha mai fatto una critica articolata e convincente all’impianto dell’Unione Europea a trazione finanziaria, al vincolo esterno, al pareggio di bilancio o al Mes, al continuo foraggiamento delle imprese? Non ricordo.
Per questo motivo ci sarebbero praterie da percorrere per chi volesse porsi in un altro campo, per chi volesse cambiare veramente le coordinate dello spazio pubblico facendo proposte realmente innovative e popolari. Purtroppo, il M5S è isolato, e fondato quasi esclusivamente sul carisma di Conte, mentre il Pd è immerso nel suo solito psicodramma precongressuale dove si discetta di “costituenti”, di comitati, di correnti, magari fossero vere, di identità, anche se alla fine l’identità è sempre quella veltroniana del 2007, salvo poi ridursi a cambiare l’ennesimo segretario. Però con le primarie, mi raccomando, guai a mettere in discussione questa americanata.