di Miguel Calzada
Generalmente, chi non è spagnolo e parla della Spagna, non si sa bene perché, è sempre portato a cadere nei classici luoghi comuni: tori, flamenco, sangría… Un mosaico complesso e articolato viene ridotto ad una cartolina disegnata nell’ultima parte del franchismo dall’allora ministro del Turismo, Manuel Fraga (poi fondatore del Partido Popular, la destra liberista di Aznar, Rajoy… ed oggi Feijoo).
Come parlare di Spagna senza parlare di calcio, specialmente di Real Madrid e Barcellona?!?… ovviamente, nel farlo si cade spesso nell’errore di pensare che l’unica strategia mai esistita sia quella del possesso palla a oltranza inventata dall’indipendentista catalano, Guardiola, quando allenava il Barcellona: il famoso tiki-taka che poi avrebbe fatto vincere il Mondiale alla nazionale iberica (l’ho pur detto: un mosaico complesso).
Le cose, però, non stanno proprio così. Nella competizione politica spagnola da sempre esistono i giocatori/politici attendisti che preferiscono rintanarsi nelle retrovie affidandosi alla incapacità dell’avversario, nella speranza di esultare per un incauto auto-gol a loro favore. Un vero maestro di questa tattica è Mariano Rajoy, vecchio volpone della politica spagnola, che amava lasciare il pallino del gioco agli avversari per poi vincere con una zampata nel finale. Si potrebbe anche dire che l’arte di non giocare, di fortificarsi senza proporre mai nulla, è stata quella praticata da Franco per ben 40 anni.
Oltre agli attendisti, sono aumentati, specialmente negli ultimi decenni, i politici audaci, in molti casi stupidamente audaci, che amano prendere l’iniziativa a qualsiasi costo, che sparano per primi anche quando non hanno più buone munizioni. Pedro Sánchez sta agendo proprio in questo modo: ha convocato le nuove elezioni politiche senza avere, apparentemente delle cartucce efficaci. Insomma, non sta facendo altro se non prendere la palla e agire in maniera audace.
Una sconfitta epocale: fine di un ciclo ed altri luoghi comuni
La vittoria del Partido Popular nelle elezioni amministrative dello scorso 28 maggio è stata schiacciante: hanno preso sei delle otto grandi città, ottenendo la maggioranza assoluta a Madrid (sia nella città che nella regione), e hanno preso 1,8 milioni di voti in più rispetto alle amministrative di 2019, mentre il PSOE ne ha persi circa 400.000. Visto l’esito delle urne, la formula PSOE-PP resuscita magicamente: se quattro anni fa i due grandi partiti rappresentavano il 50% dei voti espressi, adesso raggiungono il 60%. Peraltro, l’unico partito, a livello nazionale, che riesce ad avere visibilità oltre al PP e al PSOE è Vox, ovvero una forza che non ha timore a sostenere che le sue radici sono nel franchismo.
Le amministrative sono servite per rimarcare tre elementi
Díaz Ayuso (Partido Popular, è la presidente della regione di Madrid) ha un bacino elettorale molto nutrito. Personaggio inquietante (l’impossibile figlia di Amélie Poulain e Donald Trump), si prende tutti i voti che appartengono di diritto al Partido Popular più un percentuale significativa dovuta al suo carisma demoniaco. Appena verrà bruciato l’attuale numero uno (Feijoo), sarà il suo turno alla guida della destra.
- I due partiti nati dopo la “rivoluzione” degli Indignados (2011), Podemos e il suo lato oscuro, Ciudadanos, sembrano in fin di vita. Capitolo Podemos: la scissione decisa da Errejón nel 2019 da qualcosa di scarso peso (Más Madrid) è diventata particolarmente fastidiosa (scissioni di Podemos in diverse regioni, soprattutto Andalucía) fino a diventare un vero e grande problema (Sumar, nuova piattaforma creata dalla ministra del Lavoro, Yolanda Díaz, nella quale Podemos non trova posto). Capitolo Ciudadanos: il finto partito di centro, tifato dalla Confindustria senza troppi giri di parole, vede fuggire tutti i suoi votanti verso il Partido Popular e verso l’estrema destra di Vox.
- La Spagna non è di semplice lettura e Madrid non è la Spagna: il discorso ultra identitario di Ayuso e Vox può andare alla grande a Madrid, a Valencia e in tante zone rurali, ma catalani e baschi (circa il 20% della popolazione spagnola) non lo accetteranno mai. La sinistra indipendentista basca, Bildu, ha ottenuto il suo massimo storico di voti proprio dopo le allucinanti dichiarazioni di Ayuso, durante la campagna elettorale. Queste alcune illuminanti frasi proferite dalla Ayuso: “I militanti di Bildu non sono gli eredi di ETA, sono l’ETA”, oppure “la riforma delle tasse del Governo Sánchez è una vera e propria estorsione, pari a quella che faceva l’ETA”. In Catalunya i socialisti hanno vinto in tutte le province e conquistato il comune di Barcellona.
Quel matto che fa il presidente
Quello che nessuno si aspettava era che la mattina dopo queste elezioni amministrative il presidente Pedro Sánchez chiamasse a sé le telecamere per convocare nuove elezioni politiche. Mancano soltanto due mesi, la posta in gioco è massima e Sánchez prende l’iniziativa in maniera apparentemente suicida, ma decisamente in linea con la sua storia politica.
Sanchez, va sempre rammentato, è quello che venne fatto fuori dal suo stesso partito e che poi, contro l’apparato, trionfò alle primarie e divenne segretario, ed è anche quello che, contro ogni pronostico, vinse una mozione di sfiducia e mandò in pensione Mariano Rajoy. Sanchez era un neoliberista, adesso è uomo di sinistra: fu lui che portò Ciudadanos alle porte di un Governo di coalizione per poi abortire la missione, convocare nuove elezioni e fare vicepresidente Pablo Iglesias. Insomma, sembra avere le famose sette vite di un gatto, ecco perché alcuni credono che l’esito delle politiche potrebbe riservare delle sorprese.
Comunque vada a finire, a parer mio, la folle o apparente folle manovra di Sanchez, nasconde molta intelligenza e conferma che l’attuale segretario è un vero animale politico che lotterà per la sua sopravvivenza fino all’ultimo sangue. Invece di aspettare in difesa fino in autunno, data nella quale erano previste le elezioni generali per naturale scadenza, Sánchez ha deciso di prendere il pallone e giocare all’attacco.
Chi ha paura? Tutti quanti!
Agendo in tal modo,Sanchez ha lasciato che i media parlassero della schiacciante vittoria del Partido Popular e di Vox solo per poche ore, perché poi hanno dovuto mettere al centro della cronaca la sua scelta di portare il Paese a votare. Ma, soprattutto, ha preso tutti in contropiede.
Non so se Sanchez sia mosso da un impulso suicida o se sia in possesso di Big Data a noi sconosciuti, quel che è certo è che il segretario del PSOE è riuscito ad intimorire i tre giocatori nemici:
- La Destra: PP e Vox hanno ottenuto un convincente successo alle amministrative e adesso devono trattare per governare insieme in diverse regioni ed in centinai di comuni. Ma come si fa a firmare un accordo a giugno se a luglio comincia la campagna per le politiche? Vox ha costruito il suo racconto accusando il PP di essere “la destrina vigliacca” che non ha il coraggio di confessarsi razzista, omofoba e tutte le altre cose che Vox mette orgogliosamente in vetrina. La motivazione principale del votante di Vox è che quella è la destra forte… ma se poi si accorda immediatamente e su tutto con il PP, come può difendere quel racconto? Sánchez obbliga la destra a rimanere in stand-by fino al 23 luglio, guadagnando tempo e forse pure qualche governo locale e regionale: quelli di Vox devono fare i duri, gli accordi con i popolari non sono scontati su tutto il territorio, a maggior ragione in vista delle politiche.
- La sinistra: quello che sta capitando alla sinistra del PSOE è uno degli spettacoli più deplorevoli della recente storia politica della sinistra a livello europeo. La ministra del Lavoro, Yolanda Díaz, messa lì da Podemos grazie al governo di coalizione con i socialisti, ha deciso di formare una piattaforma propria, Sumar, e ha dato un posto preminente a tutti gli scissionisti che hanno abbandonato Podemos. Non solo, ha pure detto a Podemos che farebbe bene ad integrarsi dentro la piattaforma con grande umiltà. La reazione di Podemos è stata veemente: sono state abbondanti le offese verbali tra Yolanda Díaz e Pablo Iglesias, ormai senza cariche ma molto attivo a livello propagandistico (ha appena fondato una TV). Questo show, i politici del PSOE l’hanno osservato in silenzio ma con disagio, perché sono consapevoli che hanno bisogno di qualcosa di solido alla loro sinistra per mettere in piedi una coalizione credibile. Yolanda Díaz aveva stilato il suo calendario: non presentarsi con Sumar alle amministrative, lasciare che Podemos si distruggesse (come è stato, sono spariti praticamente da tutte le regioni), accogliere gli esponenti di Podemos dentro Sumar da sconfitti (cioè, inginocchiati) per poi prepararsi alle politiche di autunno come la salvatrice contro i fascisti. La mossa di Sánchez manda in frantumi tutti i suoi programmi. Non c’è tempo per costruire Sumar come lei voleva ed ha solo un mese per ritrovare l’armonia perduta con Podemos e presentarsi insieme. Se così non fosse, sia Sumar sia Podemos rischierebbero di brutto.
- Il PSOE: Sánchez ha da sempre un cospicuo numero di nemici dentro il PSOE, vecchi esponenti della generazione di Felipe González con un potere territoriale estremamente rilevante (sono riusciti a mantenere il potere per decenni nelle regioni meridionali, ed erano spesso accusati di clientelismo). Quei leader stavano già vivendo una fase di grande crisi, e le amministrative non hanno fatto che acuirla . E loro come hanno reagito? In maniera non molto diversa da quella del Partido Popular, cioè, accusando Sánchez di rompere la Spagna facendo accordi parlamentari con gli indipendentisti catalani e baschi (entrambi fondamentali nell’attuale governo per far passare leggi importantissime). È probabile che Sánchez, prevedendo un’estate da incubo con questi baroni che sanno solo parlare a vanvera, si sia ancor di più convinto della bontà della sua scelta, una scelta che li uccide politicamente.
Cosa succederà? Il disastro in diverse varianti
Si tratta, insomma, di prendere l’iniziativa, di portare la palla anche se non si sa bene dove. È una esigenza che, di recente, hanno avuto in molti:
– Podemos quando ha preso per la manina il PSOE, portandolo a formare il governo sicuramente più a sinistra della storia di questa democrazia.
– Pablo Casado, il predecessore di Feijoo al Partido Popular, quando ha provato ad accusare Díaz Ayuso di corruzione. In quel momento, Casado aveva deciso di tenere nelle sue mani il pallino del gioco, ma il possesso palla non è sempre sinonimo di vittoria e, non a caso, l’ex presidente è stato massacrato dal suo stesso partito. Oggi è un pensionato quarantenne.
– Anche Vox ha voluto dimostrare, pochi mesi fa, che poteva dominare il gioco con una mozione di sfiducia fallita e ridicola.
Più che fare pronostici su quello che accadrà, sarebbe importante riconoscere cosa sta succedendo. Come diceva Walter Benjamin, il fascismo viene sempre dopo una rivoluzione fallita (ed è spaventoso andare a ripassare la storia e confermare questo proverbio). Dopo il 15M, gli Indignados e Podemos è arrivata la reazione: da un lato si sono fatte leggi molto avanzate, pensiamo a quella sull’abitazione, alla riforma delle pensioni, al salario minimo, alla riforma del lavoro, alla legge sui transgender, ma dall’altra, una fetta importante della società sta reagendo mettendosi sulla difensiva, prendendo posizioni palesemente anti-femministe (che dicono non siano maschiliste), anti-ecologiste (che dicono non siano negazioniste) ed anti-socialiste (che dicono non sia fasciste). Sia Vox che il Partido Popular vorrebbero mettere fuori legge alcuni partiti, soprattutto i baschi di Bildu, ma anche gli indipendentisti catalani e forse anche Podemos. Ma perché? Perché, secondo loro, non rispettano i valori democratici. E questo lo dice il partito fondato dal ministro di Turismo di Franco.
Cosa succederà il 23 luglio? Se vincerà la logica, verrà replicato il voto delle amministrative e il governo andrà a Feijoo del Partido Popular, che, in poche settimane, siglerà un accordo con Vox. Se dovesse andare così, in pochi anni la Spagna passerebbe da un vicepresidente come Pablo Iglesias (che citava Robespierre: “punire gli oppressori è clemenza, perdonare loro è barbarie) a uno come Santiago Abascal di Vox, che ha nella Reconquista ed nei Re Cattolici i suoi riferimenti culturali.
Ma qualcosa potrebbe andare storto per le destre. Sì, forse Sánchez ce la può ancora fare, perché è stato coraggioso, perché, ancora una volta, ha detto “fermi tutti, qui commando io”. Forse ce la può fare perché sta chiamando a sé quel popolo socialista che ha votato il PSOE tantissime volte e che adesso potrebbe risvegliarsi e forse perché in Catalunya e nei Paesi Baschi non ci sono né tori, né flamenco, né sangría se non come pura invenzione dei turisti.
Se dovesse andare così, il PSOE potrebbe rimanere al Governo ed avere un appoggio di una sinistra indebolita e molto meno ambiziosa di prima. Addio, quindi, al sogno del sorpasso e…. viva il riformismo più soft. Sánchez sopravvivrebbe, cioè vivrebbe sui cadaveri di Ciudadanos e Podemos, e continuerebbe la sua egemonia nel partito socialista. Ma ce la farà?
È un po’ come quando fischiano un calcio d’angolo all’ultimo istante ed il portiere pretende di segnare con un colpo di testa. In queste situazioni si sa come va a finire: o sei un eroe o sei un pagliaccio.