Spesso partecipo a discussioni sul futuro del socialismo, o meglio, se il socialismo avrà un futuro, fatto non scontato, e ne traggo l’impressione che il cammino sarà impervio, per varie ragioni.
In Italia, innanzitutto, è inutile nasconderselo, i fatti del ’92, l’impronta craxiana negli anni ’80, insieme all’evoluzione neoliberale del postcomunismo italiano, hanno segnato il percorso in senso negativo: ogni tentativo di rimettere nella pista della storia una prospettiva socialista non ha avuto un esito felice, sia nel campo “riformista” che in quello, variegato e complicato, “radicale”, anzi, il solo citare la parola “socialista”, “socialismo”, a molti fa venire in mente Mani pulite, con tutto il carico negativo che questa memoria ha per tanti italiani.
Da un lato c’è la memoria di una secolare storia conclusa in malo modo nel ’92, dall’altro il partito erede del Pci non ha mai inteso seguire realmente una via socialdemocratica, preferendo l’abbraccio mortale con il capitalismo d’assalto dei capitani di un capitale italiano molto poco coraggioso, aprendo la via alla formazione di un partito ricalcato su modelli americani che erano estranei alla nostra tradizione politica.
Ma anche all’estero di socialista c’è spesso solo il nome, in Francia, in Germania, per esempio, e anche le esperienze più di successo, Corbyn e Sanders, non hanno raggiunto l’obiettivo di imporsi elettoralmente e si sono concluse con una sostanziale sconfitta, anzi, per certi versi, sono state vissute, dai rispettivi partiti di riferimento, come dei momentanei corpi estranei mal sopportati, e che non sono state mai veramente accettate.
Non arrivo a parlare dei riferimenti al “socialismo” cinese, o venezuelano, perché, soprattutto nel primo caso, credo che di socialista ci sia ben poco, e perché ho una profonda convinzione: ogni richiamo alla necessità di ricostruire una prospettiva socialista, non potrà che essere vissuto in una dimensione di radicale discontinuità col passato, capace di ideare inedite forme politiche, di coniugare libertà e funzione decisiva degli stati e della sfera pubblica, lotta alle diseguaglianze e capacità di elaborare nuove istituzioni in grado di mettere al centro gli esclusi. Solo così la parola socialismo potrà avere un fascino e una “spendibilità” politica in Occidente.