La digitalizzazione progressiva delle nostre vite ha irrimediabilmente mutato il quadro percettivo nel quale ci muoviamo, rendendolo imparagonabile con contesti di vita a noi lontani: continuiamo ad amare, ad avere bisogni elementari, mangiare, bere, dormire, ad arrabbiarci, a voler costruire relazioni, come un egiziano dell’epoca dei faraoni, o come un fiammingo del ‘600, questo è vero, ma non possiamo dire, oramai, di essere molto simili a questi due esempi, semmai la distanza culturale, ideologica, di sensibilità morali ed etiche, insomma, di apparati percettivi e simbolici, ci rende sideralmente distanti da questi tipi umani e più aderenti a cyberumani, transculturali e transumani, pluridimensionali e capaci di sfondare confini tecnologici e materiali solo pochi anni fa impensabili.
Le infinite possibilità di costruire/ricostruire il nostro orizzonte corporeo, i mille inserti con i quali cambiamo di continuo il nostro aspetto esteriore, tatuaggi, piercing, una sorta di monilizzazione dei corpi, o di corpi monilizzati, i supporti tecnici che sono diventati vere e proprie estensioni della nostra coscienza e del nostro corredo sensoriale, fanno di noi entità più simili a superuomini che ai normali esseri umani che hanno abitato il pianeta dai primi ominidi fino alle soglie della rivoluzione industriale, e soprattutto fino alla grande rivoluzione delle tecnologie digitali che ha stravolto per sempre il nostro rapporto col mondo.
La dimensione istantanea e potenzialmente infinita delle reti di interconnessione sociale, identificata nelle grandi piattaforme di scambio relazionale, Facebook, Twitter, per citare gli esempi più famosi, è un caso interessantissimo e di scuola, potremmo dire, di questo nuovo piano di realtà nel quale siamo immersi: abbiamo l’impressione, e la possibilità potenzialmente concreta, di poter interagire con il mondo, assorbendo conoscenze, relazioni, persone, culture, idee, in misura sempre crescente: non abbiamo più confini, in sintesi.
Anzi, la dimensione abituale della realtà si è sfrangiata in plurimi universi relazionali, percettivi, simbolici che ci ridefiniscono come esseri che abitano più piani di realtà e più contesti sociali: non esiste più la Realtà , là fuori, e la realtà dei social, no, oggi è la realtà di Facebook o Twitter ad essere la Realtà. Una sorta di mondo à la carte, di realtà a comando, che possiamo attivare a piacimento, secondo le nostre voglie e bisogni, l’auroralità del desiderio allo stato puro, una modalità che avrebbe fatto felice Guattarì o intrigato Freud.
La realtà del virus ci opprime? Facile: clic, non esiste. Il debito pubblico è un non-concetto della teoria economica? No problem, non esiste, clic. Il clima è cambiato? Che c’importa. Sicuramente è una truffa ideologica. Le fratture storiche, i cambi di prospettiva, i mutamenti politici? Clic, o non esistono o sono frutto di manipolazione. I vaccini? Clic. L’aspetto più rilevante della questione è che tutto questo ha immense ricadute politiche: se non esiste più un piano di realtà, ma più livelli che si autoriproducono come in una pittura di Escher: come faremo a costruire letture condivise, e, soprattutto, dotate di senso politico, del reale? La politica avrà un futuro?