Adesso in tv è tutto un profluvio di “green”, “pulito, sano, sostenibile e giusto”, dalla mattina alla sera, come quando ero ragazzo era tutto un “mission”, “vision”, “nell’era della globalizzazione”, “i confini non esistono più”…Come se creare un ecosistema linguistico, confortevole e accattivante, di per sé sia sinonimo di cambiamento positivo: ma che vorrà dire green? Come si fa?
Così come nei vent’anni precedenti al politico di turno bastava pronunciare l’immancabile formuletta “innovazione di processo e di prodotto”, per risolvere ogni problema, oggi mi sembra che basti dire “green” che la rivoluzione ambientale mondiale è già avvenuta, e tutti vissero felici e contenti.
Ma questo cambiamento produttivo avrà ripercussioni sulle nostre società? Ci saranno vincitori e vinti? Quante persone perderanno il lavoro? I nostri sistemi di welfare reggeranno, avranno un futuro?
Queste domande mi piacerebbe porre alla politica, e vorrei risposte non dico esaustive, ma quantomeno discretamente articolate, un minimo di pensiero che non sia la solita tiritera di slogan mi pare il minimo sindacale per una classe politica che dice di voler governare questi processi complicatissimi.
Questo involucro ideologico riveste anche le recenti e quotidiane discussioni sul complesso di finanziamenti europei che vanno sotto il nome di Recovery Fund: “transizione green”, “transizione verso il digitale”, “parità di genere”, formule retoriche, slogan, vettori linguistici che servono a traghettare il mondo presso lidi produttivi nuovi, ma in maniera tranquillizzante, pacificata, senza inutili conflitti di classe e salariali dal sapore terribilmente ottocentesco.
La società totalmente amministrata e burocratizzata in versione 4.0 preconizzata nei peggiori incubi analitici dei francofortesi, praticamente realizzata e accettata dai suoi sudditi: il vero capolavoro politico dei manovratori globali della finanza di governo: chi subirà le conseguenze di questi cambiamenti epocali desidera, anela questo sistema, senza farsi troppe domande.
Ecco perché la vera posta in gioco del Recovery dovrebbe essere tutta politica, lungi dal pensarlo come un mero concorso d’idee per i più “meritevoli” come sembrano considerarlo stati e opinioni pubbliche: verso quale tipo di società porterà questo processo?
Bisognerebbe entrare nel concreto degli slogan buoni per i tg all’ora di cena, ma nessuno lo fa perché non esiste una soggettività politica in grado di porsi le giuste domande prima di pensare alle risposte. Invece il percorso è invertito: le risposte sono già belle e confezionate dai padroni del vapore digitale. Che sono gli stessi del vapore “fossile” e industriale, in molti casi.