I difficili tempi da noi vissuti hanno avuto sicuramente pochi lati positivi. Tuttavia, è bene sottolinearne uno di questi: la prova dell’infondatezza di certi luoghi comuni e formule fisse che abbiamo ascoltano negli anni, ripetute con l’obiettivo di eseguire una specifica agenda politica.
Legittimo, ma sicuramente poco onesto: la politica è scontro di visioni, non il tentativo di espulsione della posizione opposta, in nome del “non c’è alternativa”. Per tanti anni qualsiasi scelta politica operata nel nostro Paese o in Europa è stata giustificata così: non ci sono i soldi. E perché? Perché non si possono creare dal nulla e perché abbiamo uno dei debiti pubblici più grandi del mondo, e di conseguenza i mercati ci chiedono interessi alti. Tantissime volte addirittura ci è stata prospettata la possibilità del fallimento dell’Italia.
Ebbene, tutte queste frasi, presentate come incontrovertibili erano semplicemente il frutto di precise scelte politiche neoliberali: meno Stato, più mercato. Anche con una pandemia in corso, inizialmente, le istituzioni UE, nonché diversi esponenti del Governo italiano e delle forze della maggioranza, hanno tentato di rispettare questo paradigma. Prima, collegandosi ai luoghi comuni riportati sopra, hanno ingaggiato una battaglia politica molto intensa con l’obiettivo di portare l’Italia nel cosiddetto MES sanitario. Dicevano: sono soldi a bassissimo tasso d’interesse, non possiamo non approfittarne. Ovviamente tacendo delle condizionalità pesantissime che la Troika avrebbe potuto imporci in cambio: riforme, dunque altri tagli.
Nel fare ciò negavano le più elementari basi del diritto, sostenendo che l’accordo politico, sotto forma di promessa della Commissione, potesse derogare a Trattati e regolamenti UE, i quali prevedevano in maniera inequivocabile delle pesanti condizioni, tra l’altro modificabili di fatto in maniera unilaterale. Tuttavia, la meritoria resistenza di una parte della maggioranza e del Presidente del Consiglio ha rovinato i loro piani. Si è cercato, in forma più leggera, in sede UE, di costruire un altro meccanismo che potesse rinvigorire le ingerenze delle istituzioni europee nella politica nazionale: il cosiddetto Recovery Fund.
La discussione è ancora in corso, ma è evidente come il meccanismo sia insidioso e non di facile attuazione: le riserve di diversi Stati lo testimoniano. Bisogna allora chiedersi: cosa è cambiato, come mai per il momento non si sono imposte le solite ricette? Semplicemente perché la Banca Centrale Europea ha cominciato finalmente a fare il suo mestiere: acquistare i titoli di debito pubblico degli Stati membri, tenendo bassi gli interessi e rendendo inutili i prestiti del MES e del RF. Come? Creando dal nulla i soldi necessari per gli acquisti.
Non solo viene smentito il luogo comune dei soldi pensati come bene scarso in natura, ma anche la teoria per la quale gli interessi sul debito italiano siano alti a causa dell’ingente quantità di indebitamento statale. Infatti, grazie agli acquisti della BCE, gli interessi dei titoli italiani sono ai minimi storici. Tutto questo sarebbe potuto avvenire ogni volta che sono stati preferiti dei tagli alle nostre infrastrutture, alla nostra sanità, alla nostra istruzione. Mancava solo la volontà politica, ora presente, semplicemente perché fare altrimenti voleva dire far saltare tutto il sistema per aria.
Probabilmente questo non durerà per molto: il voto positivo del Parlamento sulla riforma del MES è un primo passo per il tentativo di ripristinare il paradigma precedente. C’è, però, una differenza: è caduto il velo del “non c’è alternativa”.