E’ veramente singolare il processo di costruzione delle carriere politiche in Italia all’epoca del “liberismo reale”, il sistema economico e politico governato dal pensiero unico mercatista che si presenta come l’unico dei mondi possibili, un po’ come il socialismo reale dell’epoca della Guerra Fredda.
Così come il giornalismo italiano non è che il riflesso del piccolo mondo antico del capitalismo nostrano, basta vedere gli assetti proprietari della grande stampa, e anche della televisione, anche il ceto politico del Belpaese non è che la facciata “presentabile”, diciamo così, degli interessi economici che da sempre governano questo paese, forse oggi più di ieri, quando la mediazione dei corpi intermedi ancora assicurava una dialettica minima tra capitale e lavoro, tra sfruttati e sfruttatori.
Infatti, come notava Belpoliti già qualche anno fa in un ingiustamente dimenticato saggio, il sentimento della vergogna, e il correlato esplodere del senso di impunità, non alligna più da tempo nella plaga italica, sostituito da una unica direzione ideologica consentita, quella dei padroni del vapore. Come si è adeguata la politica a questo andazzo? Con una soluzione semplice ma complessa al tempo stesso: innestando la propria autoriproduzione sulla narrazione di una presunta vicinanza al senso comune della “gente”, con l’utilizzo di cavalli di battaglia possibilmente popolari, presi dal bagaglio infinito del securitarismo all’italiana, o dalla demagogia un tanto al chilo, tanto per perpetuare la sensazione di essere come le persone normali, ovviamente una finzione bella e buona che non ha altra funzione che quella di servire al meglio gli interessi del capitalismo italiano.
Da qui la costruzione, sembra veramente un processo in vitro, delle carriere di Matteo Salvini, Matteo Renzi, Giorgia Meloni, o dei tanti Calenda di turno. Basta leggere le pagine social di questi politici per constatare come il qualunquismo demagogico, l’omaggio populista e ruffiano al senso comune, sia il movente principale delle narrazioni propinate dagli staff di comunicatori, dal Salvini dipinto come una sorta di eroe popolare, il Capitano, addirittura!, sempre pronto a difendere sparatori di ogni risma, espressione della pancia piccolo borghese e bottegaia della sua base elettorale, al Renzi che “scrive” un libro dal titolo “Controcorrente”, manco fosse una povera vittima del sistema costretto a difendersi pubblicamente, alla Meloni sempre rapida nel solleticare i peggiori istinti dell’elettorato di destra del paese, passando per torme di assessori regionali forcaioli con i deboli, politici locali fondina dipendenti, o “governatori” alla De Luca più simili alla caricatura di un boss sudamericano.
Tre casi esemplari di come si costruisce una carriera politica, con la connivenza di un giornalismo servile e prono agli interessi dominanti, nell’era del populismo di lotta e di governo che ha saturato ogni anfratto della vita pubblica. La narrazione del politico vicino al senso comune, che vive come la “gente”, è falsa, ovviamente, e strumentale, buona per i palati sempre più disabituati alla politica degli elettori di questo secolo triste, una sceneggiatura utile al potere e ai suoi corifei, funzionale agli interessi del capitalismo finanziario nella sua fase di egemonia dura.
La controprova? Facile: da 30 anni ogni proposta, anche le più aberranti, elaborata dal complesso finanziario e produttivo italiano è stata veicolata come oro colato, come dogma di fede, dai politici in debito d’ossigeno e di credibilità, nulla ci è stato risparmiato: dal Pacchetto Treu al Jobs Act, dalle guerre “democratiche” alla precarizzazione integrale della sfera di vita di milioni di esseri umani, tutto è stato accettato e gioiosamente portato avanti dalla politica italiana.
Altro che vittime o politici vicini all’uomo della strada, i potenti italiani sono quanto di più integrato col potere economico esista, quanto di più prono al sistema abbia mai calcato le scene!
Interrompere questo dispositivo ideologico è l’ineludibile compito di qualsiasi politica che intenda trasformare l’esistente.