C’è una relazione tra il proliferare della tecnologia digitale, con l’esplosione di reti sociali, piattaforme di messaggistica, applicazioni sempre più sofisticate, e la sempre più marcata incapacità, diffusa ad ogni livello sociale, di sviluppare una politica capace di raccordare le esigenze e i bisogni dei tanti segmenti nei quali si spezzettano le nostre società? Noi crediamo di sì.
D’altronde, è mai possibile che ad un livello tecnico altissimo, mai raggiunto prima dall’umanità, grazie alla rivoluzione digitale, che consente a miliardi di esseri umani con uno smartphone di interagire a piacimento in tempo reale, non corrisponda un’altrettanta adeguata risposta politica ai problemi del nostro tempo? Perché al massimo di tecnica dispiegabile corrisponde il minimo potenziale politico mai espresso dalle società umane?
Eppure dovrebbe essere il contrario, c’era più politica negli anni cinquanta del novecento, quando povertà e ignoranza la facevano da padrone, che oggi, il bracciante del Tavoliere, o l’operaio della Città-Fabbrica torinese, avevano molti più strumenti di trasformazione dell’esistente dell’apocalittico e integrato smartworker dell’era pandemica, o del cognitario negriano che tanto piaceva alla nuova sinistra che strizzava l’occhio alla tecnologia.
Il punto politico centrale risiede, noi crediamo, nella differente collocazione delle infrastrutture tecnologiche nel paesaggio sociale e politico: mentre nel novecento le reti connettive dell’epoca, giornali, radio, televisione, apparati propagandistici, operavano all’interno di relazioni sociali dominate dal filtro dei corpi intermedi, partiti, sindacati, associazioni, movimenti, quindi in una logica tecnicamente “temperata” dalla politica, oggi, nell’era dell’interazione umana istantanea, dove i corpi intermedi sono evaporati, e i luoghi della socialità condivisa inesistenti, milioni di esseri umani spogliati della loro politicità si confrontano in tempo reale, ma non hanno più la possibilità di declinare le parole della relazione politica, perché, semplicemente, non esistono più.
Ecco perché assistiamo all’apparente paradosso dell’inesistenza, nell’epoca di Facebook e Twitter, di una una politica degna di questo nome, ma subiamo impotenti solo un triste e frusto spettacolo populista e demagogico che ha svuotato di senso le nostre democrazie.
Questa differente dislocazione del rapporto Tecnica-Politica nel tempo, spiega la densa politicità del Novecento e la disperante impoliticità delle società umane al tempo dei social, permette di decodificare la straordinaria capacità di produzione politica delle masse addensate nelle sezioni, vere e proprie articolazioni territoriali del principio regolatore della Repubblica dei Partiti, e l’irredimibile solitudine dell’individuo postmoderno, solo col suo smartphone, isolato nella sua estenuante giornata a rimestare tra Facebook, WhatsApp, Twitter, Instagram, Telegram, illuso di avere il mondo a portata di schermo, ma in realtà povero di relazioni politiche e sociali veramente appaganti. Un nuovo Canetti direbbe, forse, Massa versus Monade.
La Tecnica da sola non ci salverà, senza l’apporto di organismi di raccordo sociale e di costruzione/produzione politica che possano riconfigurare la nozione di bene comune e di pratica politica orientata al collettivo.