Dopo l’insediamento del governo della Troika fatta in casa guidato dal Sommo Draghi, l’inarrivabile eccellenza che tutto il mondo ci invidia, era solo questione di tempo, prima o poi doveva accadere, e alla fine è accaduto. Il Pifferaio del Potere, Paolo Mieli, esponente massimo di quella che il compianto Bocca definiva “diplomazia giornalistica al servizio del potere”, quintessenza del mielismo, dalle colonne dell’organo del piccolo mondo antico del capitalismo all’italiana, il Corriere della Sera, senza pudore, senza il benché minimo senso di vergogna, tesse le lodi di Draghi eterno presidente del consiglio dei ministri.
Sì, proprio così, “eterno”, o, quantomeno, così l’establishment italico vuole, per bocca dello scriba di servizio, almeno premier, come si dice oggi, fino alla fine dei suoi giorni…Incredibile, ma è successo veramente, lo ha scritto sul serio! Certo, a prima vista, ad una superficiale lettura, lo “storico” Paolo Mieli, come si fa etichettare su Rai Storia, non lo propone apertamente, si scherma dietro una presunta “Italia che ogni giorno in modo più esplicito auspica un futuro post elezioni politiche con assetti più o meno simili a quello attuale”, ma si vede lontano un chilometro che è il desiderio di Mieli e dei suoi padroni, e quindi cominciano a solleticare un elettorato peraltro stanco e rassegnato, come hanno dimostrato le recenti comunali, per abituarlo all’idea di una sorta di “eternizzazione” della sua figura, l’incarnazione di uno stato d’eccezione permanente che si tramuterebbe in un despotismo poco illuminato ma molto prono agli interessi dominanti.
Un cesarismo asettico e neutro, apparentemente, finanza friendly, pro Ue e pro Vincolo Esterno, il tutto sotto lo sguardo benevolo del Quirinale, il vero custode dell’ortodossia brussellese. Una vera manna dal cielo per le élites italiane, il sogno proibito degli odiatori dell’immaginario “Sussidistan”, il regno talebano dei disprezzati cinquestelle, anche perché, argomenta il Richelieu del giornalismo italico, c’è la preoccupazione che “un assetto governativo diverso da quello attuale precipiti l’Italia nel caos.
Una confusione inadatta a ad accogliere e gestire i fondi provenienti dall’Europa per una felice ripresa dopo la depressione pandemica”. Senti un po’, hai capito, che sfrontatezza signora mia, ci trattano come poveri beoti incapaci di intendere e volere, da silenziare sotto il giogo del governo illuminato del Pontefice Massimo che nessuno può contraddire; anche se, il magnanimo Mieli, con la sua aria serafica da bonzo tibetano, concede che sì, in effetti, l’idea “potrebbe rivelarsi poco adatta a combattere l’astensionismo e a riavvicinare gli elettori alla politica”, bontà sua, Vostra Maestà…Cioè, prima esordisce suggerendo che la via migliore sarebbe un Draghi commissario liquidatore eterno, ovviamente per gestire i soldi del Pnrr, e poi si paventa che l’elettore potrebbe decidere che a questo punto votare è semplicemente inutile. Mieli esprime, quasi con un candore disarmante, la cattiva coscienza di una borghesia e di un padronato che di illuminato non ha mai avuto nulla, se non i propri privati paradisi luccicanti.
La politica arrivata allo stadio terminale, causa manifesta inutilità, apre la porta all’estremismo dei moderati, alla prevalenza dei poteri economici e finanziari, che condizionano il potere politico per plasmarlo costringendolo in un abito bonapartista e autoritario. Quale epitaffio migliore per la esangue democrazia italiana dell’articolo di Mieli, il Draghi del giornalismo nostrano.