Come sono lontani i tempi ruggenti all’insegna dello slogan diventato “virale”, come usa dire nell’epoca dei social, “Mai con il partito di Bibbiano!”, quando il Movimento Cinquestelle sembrava agli antipodi del partito del Nazareno, l’agile nave corsara anticasta che prendendo il largo del mare della politica non sarebbe mai potuta approdare nel porto dell’odiato partito della casta, il simbolo stesso del potere che seduce e lusinga, che attrae al punto da divenire l’obiettivo principale della lotta politica, ridotta a postmoderna rappresentazione priva di contenuto reale, disossata da conflitti e visioni alternative. E invece…a distanza di una manciata di mesi, il tempo di una politica iperveloce che divora tutto e lo risputa sugli attoniti elettori, sempre meno per la verità, senza sentirsi in dovere di conferire al tutto un minimo di coerenza, i corsari pentastellati si sono comodamente accasati nella confortevole magione del Pd, avendo stipulato con gli ex nemici un patto di governo all’epoca del Conte Secondo, e proseguito nella cordiale intesa anche nel Governo Draghi, seppur da posizioni di molta minore forza contrattuale, come si è visto nelle amministrative.
Chi l’avrebbe mai detto, quello che sembrava impossibile la politica, in questo l’arte dell’impossibile, come direbbe Zizek, non certo del possibile, l’ha realizzato, scodellando sulle tavole degli italiani un accordo tra gli ex rivoluzionari e i mai stati rivoluzionari, tra il diavolo e l’acquasanta, tra i duri e puri della contestazione e i governisti a tutti i costi. Certo, i prodromi di una svolta “compatibilista” del movimento c’erano tutti, quando ad esempio in Europa la pattuglia stellata votò l’Ursula, si cominciò a capire che il sistema politico continentale e italiano stava cominciando a riassorbire la traiettoria eccentrica di un non partito che si voleva antisistema, ma che per esserlo veramente avrebbe dovuto avere una dotazione di cultura politica, esperienza istituzionale e capacità di elaborazione teorica e politica che i grillini non hanno mai posseduto, essendo inclini, piuttosto, alla semplificazione populista, alla sloganistica facile e di sicuro impatto presso le masse impoverite e frustrate dalla crisi infinita.
In questi giorni il processo di normalizzazione sistemica del M5S ha raggiunto un altro stadio, probabilmente obbligato dall’avvicinamento con il piddinismo di governo, ovvero la richiesta, non ancora ufficializzata, ma oramai nei fatti, di entrare nel gruppo parlamentare dei socialisti e democratici, passo propedeutico ad un ingresso in grande stile nel Pse. Il che produrrebbe un interessante paradosso politico: un movimento un tempo descamisado che vuole farsi partito “moderato”, chiede di entrare in un gruppo politico un tempo radicale e confliggente con gli orientamenti del capitale che oggi ne è parte integrante: in sintesi: un movimento non più antisistema che vuole far parte di una famiglia non più socialista nei fatti, ma socialista solo nel nome.
Per Letta e compagni, si fa per dire, sarebbe un successo politico, degno del Moro che voleva inglobare, per fagocitarli, i comunisti nel compromesso storico, per i grillini, anche se sarebbe più corretto dire per i dimaiani, invece, sarebbe la certificazione definitiva dell’affidabilità del M5S come partito di governo, in una competizione/collaborazione con il Pd per gestire l’Italia nell’era del vincolo esterno. Insomma, un M5S simile al Pd, solo più radical-giustizialista, ma nel campo economico praticamente uguali, la faccia legalitaria del partito che rappresenta il blocco d’ordine che garantisce Bruxelles. Con Conte, il democristiano 2.0, a fare da ciliegina sulla torta che impreziosisce il quadretto idilliaco delineato. Sarà vera gloria? Ai posteri l’ardua sentenza.