Oggi i fumetti sono onnipresenti nella pop culture, ma c’è stato un tempo in cui vedere in un film un riferimento ai protagonisti o agli ambienti dei comics faceva saltare sulla sedia. In una scena di The departed di Martin Scorsese, ad esempio, vediamo il “Jocker” Nicholson regalare al suo figlioccio Wolverine vol. 2 #11. Nel film Ragazzi perduti del 1987 Sammy Emerson incontra in una fumetteria gli stranissimi fratelli Ranocchi. I due gli rivelano che la cittadina è invasa dai vampiri e gli consigliano dunque di acquistare Vampires everywhere. Alla regia della pellicola Joel Schumacher, quello del Batman forever (1995) e Batman & Robin (1997).
Oggi i fumetti sono il cinema stesso, disegnatori e sceneggiatori fanno cinema attraverso i fumetti. In questi giorni Zerocalcare con il suo Strappare lungo i bordi ne è la riprova ma gli esempi potrebbero essere tanti. Noi però ci postiamo più a est, in Corea del Sud e seguiamo un altro filone. Dopo il successo globale registrato da Squid Game, ecco comparire Hellbound, la serie diretta da Yeon Sang-ho (Train to Busan, Peninsula) e co-creata da Choi Kyu-seok, fumettista creatrice dell’omonimo manhwa, cioè fumetto coreano, su cui si basa la storia. Siamo in un genere diverso rispetto a Squid Game: sangue e violenza non mancano ma a farla da padrone questa volta è l’horror dagli accenti sovrannaturali.
Tutto succede a Seul. In un caffè un gruppo di ragazzi sta seguendo una diretta streaming di un uomo, Jeong Jin-soo (Yoo Ah-in), che racconta di come delle strane creature, dei veri e propri emissari infernali, facciano la loro comparsa in luoghi diversi del mondo per uccidere e portare con sé delle persone, dei peccatori. Secondo il punto di vista del regista, questi mostri si presentano in seguito ad una profezia: degli angeli, infatti, annuncerebbero la data della propria morte al diretto interessato, sottolineando, poi, che è destinato all’inferno. Per Jeong Jin-soo e i suoi seguaci, i membri della cosiddetta Nuova Verità, questo è ovviamente un segnale di come Dio sia stufo dei peccati di cui si macchia il genere umano, e per questo abbia deciso di intervenire: la paura di andare all’inferno è infatti il perfetto deterrente per far vivere le persone nel modo più giusto.
Attraverso i ritmi lenti della cinematografia tipica di quelle zone, con un’attenzione rivolta a ogni piccolo dettaglio della vita quotidiana, il film sembra più reale della realtà. La serie ci racconta cosa succede alla mente umana quando è in cerca di una “verità” che riesca a spiegare un fenomeno che altrimenti potrebbe apparire casuale. E la casualità, sappiamo, genera il caos. Per questo c’è bisogno di qualcuno che possa leggere il mondo e dire quello che dobbiamo pensare e come. La gogna mediatica istigata sui social aiuta a fare il resto. E vedendo quanto succede anche oggi nella realtà, la violenza generata dalla paura diventa molto più realistica di quanto il contorno soprannaturale voglia farci credere.
Se dovessimo prendere a prestito le parole di Katherine Hayles, potremmo dire che il significato dell’informazione sono i processi che la interpretano.
A voi il giudizio finale.