Da quando il liberismo, rinvigorito e potenziato dal combinato disposto di tecnologia digitale e sanzione giuridica, diventando il famigerato neoliberismo, ha imposto il suo dominio, ideologico e simbolico prima che meramente politico, sulle popolazioni e sui governi del pianeta, la colpevolizzazione è diventata, se ci pensiamo bene, il primum movens del potere governamentale di questa specifica ideologia assurta a pensiero unico indiscusso.
Questo processo di distorsione della realtà e di presa sulle coscienze spossessate di culture critiche e alternative, affonda le radici nella semina ideologica che i teorici del neoliberismo effettuarono con successo negli anni settanta del novecento, a partire dalle accademie per arrivare ad una diffusione propagandistica in ogni ganglio della società, complice una sinistra sindacale e politica in piena ritirata culturale e ideologica.
L’esito di questo complesso processo di egemonizzazione delle società occidentali che fino a quel momento erano state il terreno politico della più grande sperimentazione progressiva della storia, il famoso trentennio glorioso del compromesso socialdemocratico tra capitale e lavoro, fu la vittoria del capitalismo predatorio che aveva rialzato la testa grazie ai suoi terminali politici, Reagan e Thatcher, negli anni ’80, gli anni degli yuppies, dei raiders, dei pescecani della borsa eletti a regolatori del sistema, a nuove divinità da adorare. Da Giuseppe Di Vittorio a Gordon Gekko, per sintetizzare la traiettoria ideologica che ci ha portati dal secolo breve, per dirla con Hobsbawm, al secolo della mondializzazione digitale.
Dagli anni ottanta del novecento le classi politiche prone ai voleri del capitale, con la complicità di un giornalismo servile che aveva abdicato al suo ruolo di contropotere, cominciarono ad utilizzare l’ambiguo e pervasivo potere della colpevolizzazione di massa: non trovi lavoro? La colpa è la tua, non ti sei formato abbastanza! Sei stato licenziato? Non eri sufficientemente performante, ti devi adattare! Rifiuti il salario da fame che le aziende ti propongono? Non vuoi lavorare! Ti lamenti della sanità definanziata? La colpa è sempre la tua che ti facevi troppe radiografie! Non vuoi affrontare il percorso ad ostacoli per trovare un lavoro, un rosario di torture programmate per rallentare l’accesso al lavoro e renderlo una chimera, allora sei un bamboccione!
E per la verità lo stesso dispositivo biopolitico viene utilizzato nella campagna vaccinale odierna, invece di rendere il vaccino obbligatorio si preferisce scaricare la colpa di eventuali fallimenti nel raggiungimento dell’immunità di gregge sulle popolazioni, o sul segmento più refrattario alla vaccinazione.
La colpa come arte di governo, e il suo uso quasi religioso, discendono dai fondamenti simbolici del capitalismo e del suo retroterra ideale, una prassi e una teoria produttiva e di scambio che per funzionare appieno abbisogna del consenso quasi fideistico dei suoi adepti, oggi l’intero mondo, per convincere le persone che rendere scarse le risorse e i prodotti sia un processo “razionale” e giusto, che il mercato, lungi dall’essere una giungla dominata dagli spiriti animali, sia un impersonale “ambiente sociale” regolato da decisioni oggettive guidate dalla logica della domanda e dell’offerta.
L’apoteosi di questa presa egemonica è il Piano nazionale di ripresa e resilienza, la solita raccolta di fondi presso i mercati girati agli stati spacciata per regalo della munifica Europa, che prevede, pena la restituzione dei fondi suddetti, decine di “riforme” sotto dettatura di Bruxelles! Un capolavoro di ingegneria sociopolitica che avrebbe riscosso l’approvazione di Hayek e Friedman.