2011, Governo Monti, presidente della repubblica Napolitano, 2021, Governo Draghi, al Quirinale Mattarella, cambiano gli attori e le comparse ma quello che non cambia è la direzione di marcia di un paese incapace di governarsi, flagellato dal succedersi di classi politiche inette e fallimentari che non sapendo cosa altro fare portano i libri al Quirinale, dichiarando per ben due volte in un decennio bancarotta politica e morale.
E per ben due volte il presidente di turno, ieri il monarca repubblicano Napolitano, oggi il travet professorale Mattarella, chiama alle armi il supertecnico di fama mondiale, ieri Monti, oggi Draghi, che, grazie allo standing internazionale e alle loro riconosciute “competenze” in scienza del liberismo pensato e realizzato, salvano dal crollo finanziario la nazione riconoscente.
Almeno, questo è il canovaccio che da dieci anni giornali e televisioni compiacenti costruiscono e veicolano per convincere il parco buoi di un elettorato sempre più stanco e disilluso. Ed è singolare notare che nella tanto vituperata prima repubblica, quella dell’Italietta, dei governi balneari, della liretta, dello strapaese democristiano, l’istituto del governo tecnico era sconosciuto, mentre nell’Italia della seconda repubblica, del Sacro Vincolo Esterno, del rapporto simbiotico con l’Europa, e con l’efficienza teutonica e nordica in genere, di governi tecnici ne abbiamo visti ben quattro, da Ciampi a quello in progress di Draghi, passando per Dini e Monti.
Insomma, la Prima Repubblica batte la Seconda in quanto a “politicità”. Perché? Qual è la tara storica, sociale, economica, ideologica che ci condanna a questo mesto destino di paese sotto tutela europea, una sorta di protettorato di Bruxelles incapace, quasi congenitamente, di esprimere una linea politica autonoma e in grado di costruire una visione del nostro ruolo nel concerto delle nazioni, si sarebbe detto un tempo? Io credo che si mescolino varie ipotesi in campo, e qualche certezza.
I problemi del nostro paese sono strutturali in un certo senso, scarsa crescita, deboli legami sociali, nanismo delle imprese, frammentazione territoriale e culturale, proiezione internazionale assicurata solo da pochi players globali, tipo l’Eni, ma complessiva incapacità di tessere una accettabile trama politica come nazione, soprattutto nel mediterraneo, in più, a questi storici punti di debolezza, da Maastricht in poi, si è sommata la zavorra di parametri europei insensati e gravidi di conseguenza negative per la nostra economia già provata da quella che è, nella sostanza, una moneta “straniera”, un marco troppo caro calato dall’alto.
Cause esterne, in definitiva, che si sommano a cause interne, la tradizionale instabilità politica del Bel Paese che però con gli strumenti della prima repubblica era “gestibile” per così dire, nella seconda, spossessata di quella strumentazione, diventa non più contenibile, producendo governi che non governano, i quali a loro volta creano una protesta demogogica di massa che satura lo spazio pubblico, in alto e in basso, e quando il meccanismo si rompe, si forma un governo tecnico, fintamente neutro, che governa per conto dell’Ue e poi il giochino riprende con sempre minor lena.
Adesso siamo credo al momento terminale di questo processo, d’altronde, se dopo Monti ci fu l’impetuosa crescita della Lega e del M5S che inglobarono molto della protesta antisistema espressa dalla pancia degli italiani, adesso, che Salvini e Grillo hanno compiuto la transizione dei loro rispettivi partiti in gangli pienamente integrati nel sistema delle compatibilità di Bruxelles, chi potrà rappresentare le ansie e le insoddisfazioni degli italiani, le legittime proteste e il desiderio di cambiare politiche ritenute sbagliate, quando finirà l’effetto narcotico della cura Draghi?
Questo è il punto cruciale per la nostra democrazia, anche per l’effetto paradigmatico che le vicende della penisola hanno avuto per il resto del mondo avanzato, spesso siamo stati il laboratorio che ha incubato fenomeni politici che hanno influenzato il mondo intero, pensiamo al fascismo o al ventennio berlusconiano.
Il rischio è che questa volta, dopo 10 anni di malgoverno dell’austerità europea, e due governi tecnici, di cui il secondo deve ancora dispiegare i suoi effetti, eventuali sbocchi autoritari possano costituire un concreto esito della involuzione democratica italiana.