Il discorso di Draghi al Senato è il naturale epilogo di una vicenda politica sviluppatasi negli ultimi trent’anni, quindi, l’esito voluto e cercato dalla classe dirigente italiana con la complicità di una politica prona agli interessi dei ceti dominanti: nessuno dei capisaldi fallimentari della precettistica neoliberale ci è stato risparmiato nei poco più di cinquanta minuti di discorso, dalle imprese da salvare alle aziende che devono essere lasciate fallire, un must della teoria liberista, dal turismo immancabilmente da cambiare alla digitalizzazione dei processi produttivi, della pubblica amministrazione, della giustizia e chi più ne ha più ne metta, dall’aggancio euroatlantico, con la petizione di principio sull’euro quale scelta irreversibile al pari di quella europea, alla captatio benevolentiae con la citazione di Papa Francesco che non guasta mai.
Addirittura, San Mario ci ha rilasciato una perla dal sapore evangelico che fa tanto Greta Thunberg, ha detto che noi cattivi umani abbiamo rovinato la creazione del Signore! Per tacere di un velato riferimento antirusso e anticinese, evidentemente i mandanti di Draghi non hanno visto di buon occhio gli accordi con la Cina per la Via della Seta. Il pezzo forte, ovviamente, non poteva mancare, è stato il riferimento classico del paradigma neoliberale: le future generazioni, la cautela nella spesa e nel fare debito che non può ricadere sulle spalle degli italiani del futuro.
Gli italiani contemporanei, viventi, non sono degni invece di tante premure, lorsignori ce lo hanno dimostrato ampiamente in questi tre decenni, con tagli alla spesa pubblica, la riduzione del perimetro complessivo dello stato, con il dimagrimento della sanità e della capacità dello stato di fare giustizia, anni e anni di austerità “espansiva”, il folle totem ideologico dei liberali. I tanti Draghi del mondo globalizzato e martoriato dalle diseguaglianze post-1989 preferiscono essere caritatevoli con gli italiani del futuro, tanto oggi non esistono ancora, mentre con quelli attuali si può infierire senza remore.
In definitiva, il discorso al Senato del nuovo Messia lo conosciamo molto bene, potevamo sgranarlo come i grani di un rosario perché sono trent’anni che ce lo sorbiamo: dagli schermi televisivi, dalle pagine dei giornali, dagli editoriali dei tanti Giavazzi d’Italia, gli slogan del liberismo di governo li conosciamo a memoria, e sono le parole d’ordine di una teoria e di una prassi fallimentari, non solo perché le promesse di crescita e felicità per tutti sono state mancate, ma soprattutto perché le diseguaglianze e la povertà sono spaventosamente aumentate. Per chi si definisce socialista, ma anche solo critico di questo sistema iniquo e ingiusto, non si può stare dalla parte di Draghi: è necessario essere risolutamente contro, la condizione minima, elementare, per poter costruire l’alternativa di sistema.