Biden crede di vivere in un mondo che non esiste nella realtà. Fra le varie tracce di lettura che emergono dal discorso alla nazione di Joe Biden, tenuto il 19 ottobre alla Casa Bianca (1), ne spicca senz’altro una.
La coscienza di attraversare un momento di svolta nella storia.
Ciò che è evidente, e non più negabile, è il dato che vi è in corso una redistribuzione del potere fra stati su scala mondiale. Gli apparati politici statunitensi se ne rendono conto ma, per cercare di infrenare questo processo, devono declinarlo – a fini di consenso – in ferale minaccia alla società occidentale, la quale deve continuare a essere presentata e vantata come esclusiva portatrice di valori supremi, universali e senza tempo.
Le crepe all’egemonia statunitense, che la potenza trionfante del dopo ‘Guerra fredda’ ha cercato costruire, non recano la data di ieri. Risalgono un po’ indietro nel tempo, ma proprio l’aggressività statunitense – il mezzo scelto, appunto, per rallentare il processo suddetto -, le approfondisce. Questo processo contraddittorio si rileva in alcuni punti geografici cruciali – o altrettante linee di faglia: Ucraina, Medio oriente, Taiwan.
In pratica, il Presidente Biden denuncia minacce esistenziali che è proprio l’egemonia ‘a stelle e strisce’ a creare. Si tratta di reazioni all’azione politica dell’egemone. Rientrava nella normalità e nella prevedibilità del percorso storico che, durante il ‘momento unipolare’, altre potenze sarebbero venute in ascesa.
Tuttavia, ciò rappresenta una sfida per una superpotenza militare ed economica che tale vuole restare e che mira a preservare il suo status di grazia. È possibile cogliere questa sfida accettando una strategia di cooperazione con gli emergenti e una riforma delle istituzioni globali. Gli USA hanno invece scelto la strategia del contenimento e del drastico indebolimento dei ‘rivali’ che non intendono allinearsi al suo condizionamento e al suo ‘dettato’. Hanno deciso di perseguire i loro scopi esercitando tutta l’influenza possibile all’estero, nonché facendo ricorso alla deterrenza, alla violenza e alla minaccia della forza.
Mai come oggi i fatti stridono con i supremi principi declamati dalla presidenza degli Stati Uniti. Noi, l’occidente sosteniamo la pace e la collaborazione, eleviamo a stella polare il diritto internazionale, la pace e la prosperità economica, promuoviamo uguali opportunità per tutti, senza distinzioni.
In pratica però, tramite le istituzioni da noi create, poniamo sanzioni, embarghi, politiche protezionistiche nei confronti dei rivali in ascesa.
Inoltre, dispieghiamo forze armate nei vari quadranti caldi, mostrando di potervi intervenire o di alimentare e sostenere cambi di regime politico e guerre per procura.
A causa di tale impegno ‘civilizzatore’, la potenza che ha esteso la sua influenza e la sua presenza nei vari continenti si sente accerchiata! I barbari non apprezzano e sono determinati all’esportazione del male.
Così, la commedia deve andare avanti.
Riguardo all’ennesima crisi fra israeliani e palestinesi, tutto, nel discorso di Biden, è ridotto alla pura volontà di Hamas di infliggere dolore ai civili israeliani. Non vi è traccia di alcun contesto storico, nessuna ricerca delle motivazioni profonde del conflitto. La medesima tecnica retorica già abusata con riferimento alla guerra nell’Europa dell’est, quella fra Ucraina e Russia.
Joe Biden ha lasciato intendere, dopo le solite cantilene circa la NATO – dipinta quale garante della pace e della sicurezza americana ed europea – e dopo aver ribadito la presunta aggressività espansionistica di Putin, che lasciare l’Ucraina sarebbe un segnale di debolezza. Allora altri attori, imbaldanziti, porterebbero caos e guerra nell’indo-pacifico (leggasi Cina e Corea nord) e nel medio oriente (Iran).
La strategia ‘preventiva’ può essere una sola: bisogna produrre e comprare armi in misura mai vista. Biden si accinge a richiedere al Congresso degli USA un altro astronomico ammontare di finanziamenti, “anche per sostenere Israele e l’Ucraina”. Un investimento per la sicurezza degli USA, evitando però che muoiano soldati americani.
Quindi gli USA non lasceranno l’Ucraina, ma Biden ha tenuto a precisare che gli americani non combatteranno direttamente contro i russi. Ottimo, no? Si uccidono russi per mezzo del sacrificio ucraino ma non muoiono americani.
Prosegue la strategia neoconservatrice di indebolire fisicamente e cercare di destabilizzare un avversario geopolitico per mezzo di una sanguinosa guerra per procura.
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L’egemonia sarà pure violenta, ma il suo volto deve essere umanitario.
Così, tornando al nuovo scontro fra israeliani e palestinesi, il presidente ha detto che, per dissuadere attacchi, occorre far vedere che Israele è più forte che mai. Israele sarà un Paese armato come mai è avvenuto prima. Gli USA, tuttavia, si impegnano a tutelare e assistere i civili palestinesi.
Nel mentre, si lascia che gli israeliani sterminino i palestinesi, avendo però cura di mantenere la parvenza del diritto e del benefico aiuto umanitario.
Perché non è forse contraddittorio dire che gli USA restano impegnati alla conservazione dei diritti delle genti palestinesi, alla loro dignità e all’autodeterminazione, mentre si consente tacitamente a Benjamin Netanyahu di condurre operazioni che eccedono chiaramente i fini bellici dichiarati? Inoltre, mentre decantava l’impegno alla protezione dei civili palestinesi, Biden – per direttissima e prima ancora che abbia avuto luogo una vera inchiesta indipendente – ha dichiarato recisamente che l’esplosione all’ospedale di Gaza non è stata opera degli israeliani.
Addirittura, Biden ha proposto un parallelo fra l’assalto del 7 ottobre perpetrato da Hamas e la guerra in Ucraina. Delirando, ha detto che l’azione di Hamas riecheggia la brutalità di Putin verso i cittadini ucraini (anche, qui, senza vere prove dei presunti crimini di guerra) e che Hamas e Putin hanno in comune il desiderio prevaricatore di annichilire le democrazie loro vicine.
Per tenere viva l’attenzione sulla minaccia alla sicurezza degli USA, Biden ha detto che l’impegno per la sicurezza di Israele e dell’Ucraina equivale a rendere l’America sicura.
Il presidente non ha esitato a chiamare questo, per la cui realizzazione intende chiedere – come detto – ancora una valanga di miliardi, investimento. Tutti questi soldi serviranno a costruire l’arsenale della democrazia e serviranno la causa della libertà.
Si tratta, in conclusione, di un nuovo capitolo della lotta al terrore, inaugurata da George Bush jr. all’inizio del secolo ventunesimo.
Gli USA si presentano, ancora un volta, come il Paese indispensabile, quello a cui tutti guardano e in cui si spera per una vita migliore. Il Paese che non può permettere ai terroristi di Hamas e ai dittatori come Putin di vincere.
“Sappiamo che altri ci guardano, guardano come ci comportiamo in Ucraina”, resta sottinteso. “Se abbandoniamo l’Ucraina, questi si muoveranno e metteranno a rischio la pace”. (Semplicisticamente, noi siamo il fronte della pace, gli altri vogliono la guerra).
Dunque, la missione civilizzatrice dell’America è più attuale che mai.
Al di là delle suggestioni propagandistiche di Joe Biden e della sua amministrazione, va messo in chiaro che una sconfitta della Nato in Ucraina significa il rischio, per gli USA, di una perdita del potere globale che a tutti i costi intende mantenere. Significa che andrebbe a monte il disegno neoconservatore di estendere la NATO in Eurasia e fallirebbe l’intento di destabilizzare la Russia, per farne un docile stato vassallo come ai tempi del G8. A tal punto, con la Federazione russa ancora sulla scena, risulterebbe più difficile il confronto (freddo o caldo che sia) con la Cina.
Gli attori statali rivali, che Biden e i suoi falchi temono, trarrebbero le conseguenze della batosta subita dagli USA e dalla NATO, anche sul piano economico e delle ‘infrastrutture’ finanziarie internazionali.
La posta a rischio non è la pace mondiale, che non si ottiene certo gettando nella macchina bellica miliardi e miliardi per gli armamenti né con l’alimentazione delle guerre, ma il ruolo egemonico degli USA.
(1) https://www.youtube.com/watch?v=w-HetYpMfKA