E il criceto salì sulla ruota e cominciò a correre…

Le elezioni che abbiamo avuto recentemente in alcune regioni e comuni hanno confermato il calo della partecipazione al voto. Milioni di persone non si recano più alle urne nelle varie tornate elettorali. Assodato che è molto difficile che il 100% degli aventi diritto vadano a votare, possiamo pensare che almeno un 75/80% potrebbe farlo, ma ormai, a seconda del tipo di elezioni, regionali comunali o nazionali, il tasso si situa tra il 40 e il 65%. Oltre i numeri è l’andamento dell’astensione la questione rilevante, da oltre 40 anni essa tende ad aumentare con una percentuale sempre maggiore di astenuti nell’ultimo decennio. Che spiegazione dare a questa tendenza? Ci sono varie teorie e penso che ogni persona interessata metta l’accento su un punto specifico che ritiene fondamentale.

Alcune cose però sono più importanti di altre, soprattutto i sondaggisti sottolineano che i programmi politici fanno da traino per portare la gente a votare. Non a caso ricordano, sommessamente, la mancanza di veri argomenti. Naturalmente questo è vero, ma andrebbe coniugato con il fatto che nonostante nell’ultimo decennio ci siano stati argomenti forti come la questione europea e principalmente l’adesione del paese all’euro (campagne elettorali di M5S e Lega), il calo c’è stato lo stesso. Credo quindi che bisogna allargare il campo di analisi per includere anche una delle questioni forse tra le più spinose e che coinvolge tutta la classe dirigente del paese, non solo quella politica.

L’incapacità di immaginare un futuro diverso e tentare di attuarlo. O meglio, proporre un progetto per un domani diverso quando si è all’opposizione, ma fare l’esatto contrario quando si è nella plancia di comando e continuare con il “business as usual”, l’ordinaria amministrazione senza dare seguito alle proposte fatte in campagna elettorale. Questo attiene, per quanto riguarda l’Italia a due scelte fatte nel corso del tempo, l’appartenenza alla UE e l’adesione ad una politica economica neoliberista (privatizzazioni, taglio spesa pubblica, ecc.).

Queste scelte di fondo, accettate in varia misura dal campo politico e da parte della classe dirigente nel suo complesso (imprese, scuola, giornali, ecc.), di fatto limitano in maniera eclatante lo spettro di possibilità di risposta alle domande di cambiamento dei cittadini (vedi i ripetuti sondaggi che vogliono sicurezza economica, lavoro, previdenza ecc. tra i primi posti nelle proprie necessità di vita).

Stante questo quadro ci si chiede come mai la società non sia riuscita a costruire fino ad ora un soggetto capace di proporre ed attuare nuove politiche, il M5S ci ha provato ma è tornato subito nei ranghi. Probabilmente la principale risposta sta nella mancanza di visione per un futuro diverso e soprattutto nella mancanza di comprensione di come funziona realmente l’economia del paese e di questa in relazione agli altri. Questo punto specifico, il mantenimento di coordinate monetariste in luogo di quelle di altre scuole di pensiero economico, anche in persone che vorrebbero dei cambiamenti, è un fattore limitante soprattutto in una visione strategica e non solo tattica dell’agire politico. O meglio, ci si focalizza su degli argomenti specifici, anche importanti, senza inserirli in una visione politica organica che possa indirizzarli verso il raggiungimento degli obiettivi generali che ci si prefigge.

Il continuare a sostenere l’incapacità e l’impossibilità di cambiare il quadro in cui è inserito il nostro paese (UE ad esempio) ha un rovescio importate della medaglia, l’accettazione della visione economica dominante (che si è ampiamente dimostrata fallace) e quindi l’immediato rientro negli schemi che ci hanno portato all’attuale stato di immobilismo, con il suo portato di bassa crescita, mancanza di servizi e quant’altro.

Non potendo incidere seriamente e continuativamente sulle leve più importanti dell’economia, qualsia formazione politica non può che limitarsi a soddisfare le sue clientele ed essendo il neoliberismo per sua natura portato a supportare le esigenze economiche solo delle classi sociali più affluenti, solo queste ultime si sentiranno chiamate al voto per salvaguardare i propri interessi.

Naturalmente ci sono piccole formazioni politiche che hanno programmi più o meno di impostazione sociale, di cambiamento, di rottura, ma essendo scarsamente finanziati e con ancor più scarsa visibilità è un po’ difficile che il loro messaggio arrivi al vasto pubblico con quella costanza e pervasività con cui arriva quella delle formazioni maggiori. Le persone politicizzate probabilmente non si rendono conto di questo perché seguendo il dibattito politico gli pare che questa visibilità ci sia, ma è solo un’illusione ottica, quello che conta sono i passaggi in tv e, anche se le vendite sono in netto calo, gli articoli dei giornali. E qui si dovrebbe aprire una grande parentesi sul modo di fare giornalismo (?) in Italia, per farla in breve possiamo semplicemente notare che quello che conta è la linea editoriale delle varie testate, un articolo ogni tanto in fondo all’ottava pagina non serve a molto. Stupisce poi che dopo almeno un decennio di dibattito sull’euro si ripropongano ancora le vecchie e stantie obiezioni sui suoi problemi e sulle vie d’uscita.

Si ride tuttora o addirittura si negava in passato la funzione principale di una banca centrale, la cosiddetta stampa di denaro e sul ruolo di prestatore di ultima istanza per i titoli pubblici e regolatore dei tassi d’interesse (come hanno fatto a piene mani tutte le banche centrali del mondo, anche la BCE, dal 2008 alimentando solo le bolle speculative nei mercati finanziari), e ci si dimentica la questione principale, il necessario coordinamento tra politica fiscale e monetaria che devono accompagnare e realizzare una “visione” di futuro che vada oltre l’ultima riga di bilancio, per rendere sostenibile per la maggioranza della popolazione una vita piena e la possibilità di costruire un avvenire migliore.

Mancando degli strumenti per capire il funzionamento dei rapporti macroeconomici, rimangono sul piatto solo i fattori microeconomici che, seppur importanti, non cambiamo la struttura, l’intelaiatura, in cui si è congelati. Si possono spostare soldi da un capitolo di bilancio all’altro della spesa di uno stato, ma rimane in piedi la limitazione più grave e grande di tutte, la capacità di gestire la complessità di una società nella sua interezza per cambiare la strada che sta percorrendo e forzare il circolo vizioso in cui da quarant’anni si è bloccati.

E il criceto? Beh… dopo aver corso a più non posso è sceso dalla ruota nello stesso punto in cui è salito, con l’unico effetto di essere più magro e con qualcuno che deciderà quanta pappa potrà mangiare.