Pare che si stia generando una sorta di crescente allarmismo circa l’andamento del livello dei prezzi. L’allarme è stato rinforzato dalle parole del Ministro Cingolani riguardo al rincaro delle bollette energetiche. È vero che con la graduale ripresa delle attività economiche anche i prezzi manifestano una tendenza all’aumento, tuttavia l’allarmismo ad essa associato è probabilmente esagerato. (L’inflazione si situa attualmente al livello del 2%). In particolare, è improbabile ritenere fondato che il fenomeno sarà grave e persistente, magari al punto di poter rievocare gli anni ’70 del novecento.
Ben prima dell’avvento della pandemia da Covid19, le banche centrali si dimenavano nei loro tentativi di contrastare il fenomeno opposto, cioè la tendenza al calo dei prezzi. Constatato il quadro di stagnazione cronica, nell’ambito della politica monetaria si è anche fatta strada l’ipotesi di tollerare, per periodi più o meno lunghi, un tasso di inflazione superiore al “tasso obiettivo” degli istituti centrali di emissione. (Generalmente fissato al 2%).
Ora, il dato rilevante è che il contesto di bassa inflazione che ha caratterizzato la fase pre-pandemica non è sostanzialmente cambiato.
Da un lato, è normale che dopo un lungo periodo di limitazione delle attività – in diversi settori, vi è stato un vero e proprio congelamento –, vi sia un ritorno al rialzo del livello dei prezzi. Ampliando la visuale, si può anche osservare che molte catene internazionali di approvvigionamento, a lungo interrotte, necessitano di tempo affinché vi venga ripristinato un funzionamento senza strozzature.
Ma da un altro lato, gli economisti distinguono fra prezzi che variano di frequente e prezzi che, invece, tendono a mantenersi rigidi. Così, si suole considerare separatamente i prezzi di beni come l’energia e dei generi alimentari, soggetti a variazioni più frequenti. Anche le banche centrali, che detengono il potere di intervento attivabile per soffocare fiammate inflazionistiche, se agiscono avvedutamente, distinguono fra rischi di inflazione “strutturale” e rischi di inflazione sporadica. (Non sempre ciò è avvenuto in passato).
Ebbene, i recenti pronunciamenti di diverse banche centrali confermano che la situazione è sotto controllo, nel senso che non si rilevano rischi di aspettative di incremento dei prezzi incardinabili al punto di tradursi in inflazione permanente.
La Banca d’Italia, nel bollettino di settembre 2021, rileva che la recente ascensione dell’indice dei prezzi al consumo è ascrivibile a componenti volatili:
Questo non deve sorprendere: l’assetto istituzionale di riferimento non è cambiato. In esso, la componente che potrebbe riverberarsi sui prezzi al consumo è depressa da molti anni. La capacità produttiva continua a essere sottoutilizzata e il tasso di disoccupazione resta molto elevato. I dati dell’Istat fanno notare che il Covid ha cancellato 1,2 milioni di posti di lavoro e, finora, ne sono stati riesumati 523 mila, quasi esclusivamente con contratti “precari”.
In particolare, le retribuzioni contrattuali proseguono da decenni nel loro stato di ibernazione. (Ai sindacati sono state spezzate le reni fin dagli anni ’80). Il contesto istituzionale rimane, insomma, anti-inflazionsitico e antisalariale. E, come si sa, la stessa appartenenza all’euro è basata sulla deflazione salariale.
Discorso leggermente diverso potrebbe farsi sui prezzi alla produzione. Questi fanno registrare sì, un tasso di incremento più sostenuto, ma anche qui va rilevato che la base di partenza, il 2020, aveva recato un tendenziale -4,4% nel 2020. Inoltre, il “sistema paese” pare non risentirne, dato che la relativa posizione competitiva nei mercati internazionali rimane immutata:
Tirando le somme, non pare avere molto senso alimentare allarmi ogni volta che l’indice dei prezzi riporti un rialzo, anche modesto. Sarebbe più proficuo occuparsi di una profonda revisione dell’assetto istituzionale con il quale gli operatori economici si trovano a dover fare i conti. E soprattutto, in tale ambito, bisognerebbe tornare a mettere al centro la dialettica degli interessi fra i diversi ceti sociali.
Ma, forse, persistere a dipingere la situazione come una continua riproposizione degli anni’70 del novecento giova proprio alle categorie che, da una politica antinflazionistica, hanno guadagnato e hanno tuttora da guadagnare.