Salvini versus Giorgetti, ovvero il il partito di lotta contro quello di governo. Non è la prima volta, e non sarà certamente l’ultima, che in una compagine governativa un partito attraversi fasi di tensione tra chi solletica gli istinti sociali più vari, e chi offre una visione ed una prassi più “governista”, più incline alle compatibilità generali di sistema.
Ma, questa volta, l’aspetto più interessante e saliente della questione è che lo scontro, prima sottotraccia poi via via più esplicito tra i due contendenti, avviene nel gabinetto Draghi, un unicum nella storia della Repubblica, uno spartiacque tra un prima, dominato dal gioco politico, via via sempre più blando fino a spegnersi, e un dopo, nel quale la politica è stata fagocitata da Draghi e dal draghismo, ideologia di una “fine della storia” in salsa nostrana. Tanto che, per commentatori, cardinali, imprenditori e ideologhi vari, Draghi sembra essere diventato l’unico centro di gravità del sistema, che loro auspicano diventi permanente.
Giorgetti rappresenta da sempre l’ala governista e tecnocratica del partito-movimento, imperniata sul blocco sociale ipernordista, costituito dalla piccola e media impresa, legata all’Europa per ragioni di filiere produttive, di catene del valore transnazionali, e da un diffuso strato di commercianti e artigiani, partite Iva e imprenditori di se stessi, che hanno necessità di tornare a fatturare pena la morte economica, ai quali gli ammiccamenti salviniani all’universo critico della gestione pandemica non sono piaciuti. Salvini, invece, ha cercato di tenere dentro tutto, compreso sacche di renitenza antivaccinale da sempre coccolate e vezzeggiate dal Leghista Supremo, insieme all’omaggio deferente a Draghi e Figliuolo, visti come l’approdo politico irrinunciabile, pena dare partita vinta all’odiato Pd lettiano.
Ovviamente il giochino di Salvini è diventato sempre più scoperto, ed esposto ai tiri del partito ministeriale e regionale della Lega, da Zaia a Fedriga, interessati più ad impallinare il segretario che si appresta a perdere disastrosamente le amministrative, che a tessere trame di pace.
Se, nella prima fase di confronto con l’Ue, nel Conte 1, Salvini aveva svolto un ruolo di “guastatore”, mettendo alla berlina i parametri europei, fatto più di facciata che di sostanza per la verità, con un Giorgetti costretto ad incassare data l’enorme popolarità del “Capitano”, in quella fase, adesso, con un Salvini in evidente difficoltà politica, in debito d’ossigeno e di voti, in caduta da mesi nei sondaggi, il tecnopadano fedele alla linea di Draghi intende assestare il colpo definitivo, che lo farebbe emergere come l’interlocutore più “credibile” per il sistema di poteri finanziari ed economici che ha espresso il governo Draghi.
Una complessa partita politica, insomma, da giocare in più tempi, ma con la chiara consapevolezza che adesso bisogna smontare il mito del “capitano”, appannato tra ammiccamenti no vax e sondaggi poco brillanti, tra città che andranno probabilmente al centrosinistra e la concorrenza della Meloni sempre più forte, oltre al mancato sfondamento al Sud. Troppi problemi per un uomo solo al comando. Che sia la fine politica di Salvini? Troppo presto per dirlo, ma senza dubbio se avverrà è perché le basi le sta mettendo Giorgetti in questi giorni.