Il mondo della scuola continua a sorprendermi. Lo fa anche adesso che, come genitore di un adolescente alla soglia dell’età adulta, sto vivendo i riflessi di un ultimo virulento anno di scuole superiori. Ieri al termine del quotidiano appuntamento con la dad, la didattica a distanza, mio figlio mi ha aggiornato sulle ultimissime novità: il suo professore di matematica, peraltro bravissimo e tenuto in grande considerazione da tutta la classe, non potrà insegnare. È stato sospeso temporaneamente dal servizio e posto in malattia. Stessa sorte è toccata ad almeno tre suoi colleghi nello stesso istituto.
In base alla recente Circolare Ministeriale n. 1585 dell’11/09/2020 sulle indicazioni operative relative alle procedure scolastico che i dirigenti scolastici devono osservare in merito ai lavoratori fragili, è stato dichiarato non idoneo all’ insegnamento. Inidoneo all’ insegnamento non è solo un giudizio che nega una funzione ma è anche una decisione che, rovesciando il senso della norma, scarica le responsabilità della collettività sui singoli. Cerco di spiegarmi meglio. L’inidoneità fu introdotta nella legislazione scolastica con i decreti delegati del 1974 (art. 112-113) come norma di civiltà all’ interno di quello che fu il primo tentativo di dare una effettiva, ordinata e coerente attuazione ai principi costituzionali riguardanti la scuola statale italiana. Aveva lo scopo di tutelare i più deboli: in quegli anni si diceva che doveva proteggere sia il personale malato sia l’utenza potenzialmente danneggiata da questi. Successivamente la stessa venne ripresa dai Contratti Nazionali e disciplinata nel primo Contratto Decentrato del 1997 oltre che nel nuovo Contratto Collettivo Nazionale Integrativo concernente i criteri di utilizzazione del personale dichiarato inidoneo alla sua funzione per motivi di salute – art. 4, comma 2, e 17, comma 5, del contratto collettivo nazionale del personale della scuola 29 novembre 2007 (CCNI – 25 giugno 2008).
Questo insegnante, come molti altri suoi colleghi, sono gli stessi di ieri, sono gli stessi di un anno fa. La fattispecie di fronte a cui ci troviamo intreccia Statuto dei Lavoratori e Codice Civile che riconosce diritti economici e lavorativi. Il quadro giuridico e normativo non può essere quello dell’inabilità: si tratta piuttosto di una questione di sorveglianza sanitaria e non di gestione di uno stato di malattia invalidante. L’onere non deve essere pagato del lavoratore ma dal datore di lavoro, dallo Stato che ne deve garantire la sicurezza sul posto di lavoro. I lavoratori ammalati, anche quelli incurabili non perdono lo stipendio e posizione giuridica. È impensabile che chi si trovi in situazione di fragilità a causa al Covid-19, e si badi bene, neanche malato, rischi la decurtazione economica e persino il licenziamento. È un controsenso ma è soprattutto un’ingiustizia ribaltare l’onere della crisi e addossare i danni della pandemia sui singoli lavoratori soprattutto quelli della scuola che stanno facendo sforzi enormi per mantenere viva una scuola che passo dopo passo è sempre più virtuale.