Da quasi tre decenni l’ONU riunisce quasi tutti i Paesi della terra per i vertici globali sul clima, chiamati COP ovvero “Conferenza delle Parti”. I lavori sono finalizzati al raggiungimento di accordi multilaterali che permettano di affrontare i cambiamenti climatici ai quali l’uomo ha enormemente contribuito con il suo operare. Quest’anno si tiene il ventiseiesimo vertice annuale, di qui il nome COP26. L’incontro è presieduto dal Regno Unito che l’ospita a Glasgow dove i decisori politici convocati sono stati chiamati a presentare piani concreti per l’abbattimento delle emissioni di gas clima alteranti (anidride carbonica, metano, azoto, fluorati) come concordato nei precedenti accordi di Parigi del 2015. In quella importante occasione successe qualcosa di epocale: tutti i Paesi accettarono di collaborare per limitare l’aumento della temperatura globale ben al di sotto dei 2 gradi, puntando a limitarlo a 1,5 gradi. Inoltre i Paesi s’impegnarono a reagire agli impatti dei cambiamenti climatici e a mobilitare i fondi necessari per raggiungere gli obiettivi fissati.
Per ora l’analisi degli impegni che gli stati hanno adottato prevede un aumento delle emissioni del 16 % da qui al 2030 e un aumento dell’estrazione di combustibili fossili di circa il doppio di quella valutata come necessaria per mantenere l’aumento delle temperature intorno ai 1,5° C.
La gran parte di quelle belle promesse fatte sei anni fa verranno disattese perché nulla è cambiato nella sostanza: la grande cecità, parafrasando il libro di Amitav Ghosh, fa ignorare a noi Sapiens lo tsunami in arrivo.
Questo accade perché ci ostiniamo a non vedere che l’emergenza ambientale è di una gravità ormai insostenibile. Gli schemi concettuali e i sistemi di influenza memetici che ci stanno portando al disastro continuano ad operare indisturbati, mentre l’istupidimento collettivo con cui ci adattiamo al collasso ci protegge dal terrore, mantenendo inalterati pensiero, cultura e immaginazione. Non ci sono state quindi inversioni di rotta o nascita di piani immaginativi alternativi al sistema perché nessun dei rappresentati delle istituzioni sembra volere mettere in discussione il tema che sta alla base di tutte le tavole rotonde sul clima: il dogma utopico della crescita infinita. Nessuno vuole, usando le parole di Matteo Meschiari, “sabotare il racconto univoco (e normalizzante) con paradigmi follemente intelligenti”.