A pochi giorni dalla COP26, la Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici che si terrà a Glasgow in Scozia tra il 31 ottobre e il 12 novembre, è lecito chiedersi se le sbandierate affermazioni dei Governi del mondo industrializzato stiano legittimamente tenendo conto delle richieste dei movimenti e se si possa mettere in discussione quel modello di sviluppo capitalista che continua a mettere al centro l’accumulazione del profitto. Gas serra fuori controllo per la strada facile dell’estrattivismo, aumento delle temperature, gravi conseguenze sulla produzione del cibo, responsabilità della grande finanza.
Vertice nato male tra defezioni e Paesi negazionisti
Secondo Unearthed, piattaforma investigativa di Greenpeace UK, un gruppo di Paesi sta cercando di influenzare e modificare l’ultimo rapporto dell’IPCC, il Gruppo Intergovernativo sul cambiamento climatico delle Nazioni Unite. Grandi assenti Russia e Cina; tra i presenti, l’Arabia Saudita, il Giappone e l’Australia più alcune grandi aziende sostengono che non è necessario ridurre l’uso dei combustibili fossili, così rapidamente come raccomanda il rapporto.
L’Arabia Saudita è il più grande esportatore di petrolio al mondo e l’Australia è uno dei principali esportatori di carbone. Storicamente l’Australia ha avuto al Governo politici negazionisti che hanno resistito alla transizione ecologica e agito in base agli interessi delle lobby del carbone. Infatti, dai documenti, è emerso che l’Australia chiede agli scienziati dell’IPCC di cancellare un riferimento al ruolo dei lobbisti dei combustibili fossili proiettati a ritardare le azioni sul clima in Australia e negli Stati Uniti.
Un’altra esplicita opposizione sarebbe quella del Brasile e dell’Argentina, che non accettano di ridurre i profitti dalla commercializzazione di grandi quantitativi di carne prodotta negli allevamenti intensivi, organizzati per produrre carne senza alcuna tutela del benessere animale e di fatto responsabili di una sempre maggior presenza di gas serra.
Come mai l’Agenzia metereologica dell’ONU lancia un allarme?
Abbiamo raggiunto l’inimmaginabile, la concentrazione dell’anidride carbonica ha registrato 413,2 parti per milione nel 2020, in pratica il 149% del livello preindustriale; il metano è al 262% e il protossido di azoto al 123%.
Con il Covid la gravità delle immissioni dei gas in atmosfera, seppur ridotte di qualche decimale (5,6% per la CO2), resistono nell’atmosfera e nel mare; gli oceani non funzionano più, non hanno funzione di tampone, non riescono ad assorbire l’anidride carbonica. L’Accordo di Parigi mirava a contenere la temperatura a +1,5 e +2 al di sopra dei livelli preindustriali. Nulla di fatto: impresa impossibile.
Quali saranno le principali ricadute sul cibo?
Anche il WWF esprime un severo allarme per la ricaduta dei cambiamenti climatici sul cibo.
Nel 2021 notevoli i cali di produzione: per il miele il 95% e per l’olio l’80% soprattutto in alcune regioni del Nord, così pure per l’ortofrutta. L’Italia ha attraversato il periodo più caldo della propria storia con un incremento dell’1,1°C della temperatura media annua tra il 1981 e il 2010, notevoli poi nel 2021 gli eventi estremi (in numero di 1500) per non trascurare nubifragi, gelate e ondate di calore Un frutto su quattro è andato perduto, danni alle perdite di pere ed uva; danni anche per i pomodori la cui maturazione, accelerata dal caldo torrido, ha danneggiato la lavorazione, con pesanti ricadute sul lavoro.
Ricordiamo, poi, che produzione, distribuzione e consumo del cibo sono cause dirette del cambiamento climatico; contribuiscono, infatti, al 37% delle emissioni dei gas serra.
Verrà messa in discussione la strada dell’estrattivismo?
Numerosi gli incontri tra l’attuale Governo e i rappresentanti del fossile che chiedono finanziamenti, riaperture delle trivellazioni nel mare Adriatico e riapertura del progetto di cattura e stoccaggio dell’anidride carbonica al largo della costa di Ravenna. Secondo una ricerca apparsa su Nature, l’unica via è lasciare sotto terra petrolio, gas e carbone; è l’unica strada per sperare di raggiungere l’innalzamento medio delle temperature in 1,5°C. Basta con l’estrattivismo: mettiamo al centro il benessere della comunità. Vincenzo Balzani, professore emerito a Bologna, ci dà delle precisazioni. Afferma che la via di uscita dall’uso dei combustibili fossili alle energie rinnovabili è possibile ma anche conveniente e richiama i dati positivi di uno studio dell’Univ. di Stanford. Quello che non ci dicono, secondo Balzani, è che il metano è un gas serra 70 volte più potente della CO2 e nella sua filiera sono numerose le fuoriuscite di gas. Il governo, poi, pressato dalla Commissione europea, ha dovuto rinunciare a finanziare il progettato impianto della Cattura dell’anidride carbonica, il Carbon Capture and Storage.
Perché si parla di responsabilità della grande finanza a proposito della crisi climatica?
In occasione della Pre-COP 26 la contestazione ha riconosciuto in Piazza Affari, sede della Borsa di Milano e del mercato finanziario, uno dei suoi obiettivi più rilevanti, gli attivisti non hanno certo presidiato un’azienda inquinante o una centrale a carbone. Dall’anno degli accordi di Parigi sul clima, il 2015, a oggi le principali 35 banche del mondo hanno investito nel fossile 2.700 miliardi di dollari e hanno moltiplicato i finanziamenti nella ricerca di petrolio e gas nell’Artico e nell’estrazione offshore. Intesa Sanpaolo, Unicredit e Assicurazioni Generali sono gli alfieri italiani dell’investimento che minaccia il pianeta, ma il governo e la finanza pubblica non stanno certo a guardare.
Banche, Fondi d’investimento, Multinazionali e altri graziosi soggetti pensano certamente ai loro profitti e non alla salute. Per restare ai dati del solo 2019, la finanza italiana ha causato 90 milioni di tonnellate di CO2, 75 milioni dei quali sono da attribuire a Intesa Sanpaolo e Unicredit.
Quando si parla di riscaldamento globale, ci si racconta una versione colpevolizzante, secondo la quale sarebbero i nostri comportamenti individuali, fra loro sommati, a produrre i danni che vediamo, costringendo a considerarci tutti sulla stessa barca; invece, il discorso va ribaltato. Come dice Marco Bersani: “C’è, dunque, una verità paradossale dentro la narrazione che attribuisce alla collettività la responsabilità del riscaldamento climatico: è con i soldi di tutte e tutti noi che il sistema si garantisce la leva finanziaria”.
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