Alla fine Matteo Renzi la crisi l’ha fatta per davvero, quello che per diverse settimane è sembrato solo un lungo lavorio tattico ai fianchi del Giuseppi nazionale, che mai si pensava avrebbe portato alla rottura di precari e delicati equilibri politici tenuti in vita dalla prospettiva monstre, per il centrosinistra di governo alleato del populismo grillino, della quasi certa vittoria delle destre, si è rivelato alla fine un lucido progetto politico, con uno scopo, dei mandanti, e un senso, per quanto inviso alla maggior parte dell’elettorato.
Questa è la prima vera e propria crisi derivata dall’indisponibilità di un socio di maggioranza del Conte 2, il Movimento cinquestelle, nell’utilizzo di uno strumento di tortura e repressione finanziaria creato dalla fantasia pervertita dei manovratori europei, il Mes, mentre per il rappresentante del partito europeo italiano, Renzi e non solo, questo presunto “dono” della munificenza di Bruxelles deve essere assolutamente preso, pena la perdita del bollino di rispettabilità continentale.
In definitiva, questa è la crisi del Mes, questo è il cuore politico e ideologico dell’azione renziana, al di là delle retoriche tronfie del personaggio, delle cortine fumogene sul mancato coinvolgimento, delle settimane passate a discutere di “Teresa”, “Elena” e “Ivan”, delle mille formule narrative prese di peso dall’inesauribile serbatoio linguistico del bizantinismo politico italico, dei programmi per l’Italia dall’improbabile acronimo CIAO, il fondo lussemburghese è il nodo della questione politica. Possibile? Diversi indizi portano verso la pista della finanza repressiva targata Ue.
Innanzitutto, la discussione sul Recovery: se anche questo strumento fatto di prestiti e sussidi, nulla che non ci paghiamo da soli, è governato da rigide condizionalità, allora perché non prendere in considerazione anche il famigerato Mes? In questo la logica marattinian-renziana è spietata, bisogna ammetterlo, e i balbettamenti a cinque stelle non hanno aiutato, compreso il silenzio-assenso del curiale Zingaretti, fosse per lui il Mes lo avrebbe preso da mesi.
Poi, la connivenza di ampi settori del Pd che da sempre hanno sicure sponde nell’ortodossia brussellese, altro indizio importante, e che non hanno mai fatto mistero dell’opinione che ogni cosa provenga dalla Ue sia dogma di fede, un po’ come la Dc della prima repubblica riteneva che il rapporto con gli Usa era un architrave intangibile della governance del paese, anche il Pd tiene al rapporto con l’Ue come al supporto fondamentale della vita politica italiana.
Nel bel mezzo, una campagna martellante di stampa e tv a reti unificate, con il corollario di Confindustria e sindacati gialli, a favore del Mes perché i “morti non possono aspettare”, sfruttando cinicamente le vittime del Covid in funzione politica, una pressione enorme in atto da mesi. Infine, la tempistica, fattore politicamente decisivo, se non ora quando? Ovviamente, più passa il tempo e più il partito pro Mes sbiadisce nella mente degli italiani, Renzi non poteva più aspettare, ora o mai più. Anche perché, e questo è il punto di caduta grottesco di questa storia, è sempre più difficile, se non proprio incomprensibile, giustificare il nonsenso di dividersi e lacerarsi su di un tema che in altri paesi, anzi, nel resto dell’Ue è completamente assente: nessuno discute e nessuno lo vuole questo Mes, se non il micropartito del Vidkun Quisling italiano, Matteo Renzi. Questo è.
Tutti gli indizi portano al nocciolo dell’ideologia italiana che regge anche simbolicamente la nazione dopo il tracollo della Prima Repubblica: l’europeismo idealizzato in una sorta di mega Trinità che governa e sovrasta tutti: il Padre, l’Unione europea che distribuisce colpe e grazie, il Figlio, la presidenza della repubblica che fa moniti, e lo Spirito Santo, il miscuglio di teorie e precetti della scuola neoliberale che senza conflitti vengono ammanniti alle masse. La crisi è il sacrificio che il sacerdote Renzi, in nome e per conto delle classi dominanti italiane, officia sull’altare di questo europeismo stravolto e delirante.
Adesso, vedremo se l’esito sarà il Draghi novello Monti, che mette tutti in riga e che chiederebbe sicuramente l’attivazione del Mes, oppure un problematico Conte ter, versione indubbiamente indebolita del Conte 2 e che non si sa quanto conveniente per l’avvocato del popolo, se non proprio un governo tecnico light a guida Cartabia per gli amanti della politica depoliticizzata. Una crisi paradossale per tempi scadenti.