L’Italia, si sa, è da un trentennio un paese in declino. Da quando ha abbracciato la filosofia liberalizzatrice e privatizzatrice si è affidata esclusivamente all’iniziativa privata e i risultati in termini di sviluppo e miglioramento tecnologico sono stati – a dir poco – deludenti. Dal lato economico dell’offerta si è avuta una riduzione dimensionale delle imprese e una proliferazione di servizi a basso valore aggiunto, mentre dal lato della domanda il Paese è rimasto invischiato nelle politiche europee di austerità, sperimentando tassi di crescita sostanzialmente nulli.

Un tessuto produttivo siffatto, altro non poteva fare che richiedere lavoro ‘povero’ e scarsamente qualificato, mentre decine di migliaia di persone – in maggioranza giovani qualificati – alimentano ogni anno un flusso di emigrati all’estero. (In sintesi semplificata: più camerieri e lavoratori agricoli, meno tecnici e ricercatori).

Così, eludendo analisi serie e realistiche della situazione, il motto politico è stato: ‘giù i salari’, serve competitività di costo. Il che è stato realizzato – complice la dipartita della sinistra politica – tramite tutte le riforme del mercato del lavoro approvate dagli anni ’90 del secolo scorso in poi. Con esse, è stato praticamente annichilito il potere contrattuale dei sindacati.

Raggiunto questo fine, non andava proprio giù agli ambienti imprenditoriali (peraltro, costantemente sussidiati sul piano fiscale) che nel 2019 fosse stato introdotto un ‘pavimento’ alla pressione verso il basso dei salari: il Reddito di cittadinanza. Per le imprese non è concepibile che un disoccupato possa ardire di non accettare un lavoro ‘povero’, precario e retribuito meno della già misera somma pari al Rdc.

In più, il Reddito di cittadinanza non ha mai goduto di ‘buona stampa’. Riflesso del clima culturale ‘piccolo borghese’ del Paese. Ci si è costantemente concentrati sulle relative percezioni indebite, ponendo meno enfasi su altre misure – come il ‘Bonus 110%’ in edilizia – le quali hanno dato adito a occasioni e volumi di truffe maggiori.

Così ora, il Governo di Giorgia Meloni, incarnazione politica dei suddetti ceti imprenditoriali retrivi ed egoisti, si accinge ad abolire il beneficio del Rdc sinora percepibile anche da chi ‘è in grado di lavorare’. (L’abolizione per i soggetti ‘abili’ avverrà, pare, tra alcuni mesi). Un modo surrettizio per affermare che anche le peggiori, inaccettabili offerte di lavoro – di qualunque condizione retributiva, oraria e di sicurezza esse siano – non potranno essere rigettate.

Un madornale errore – ideologico e prospettico – da parte del Governo, dato che il mercato non assicurerà comunque la piena occupazione e moltissimi, specialmente al Sud, resteranno disoccupati involontari. Un bel successo, tuttavia, conseguito soprattutto dalle piccole imprese, specialmente quelle operanti nel settore dei servizi. Queste stesse categorie beneficeranno altresì di un ennesimo condono fiscale e dell’innalzamento della soglia per l’uso del contante. Detto più esplicitamente: un nuovo incentivo all’evasione fiscale, come se ve ne fosse la necessità. I piccoli imprenditori saranno soddisfatti, ma i veri problemi del sistema economico rimarranno irrisolti.

Per affrontare questi ultimi, ci vorrebbe un governo lungimirante, intenzionato a contemperare gli interessi dei diversi ceti sociali e a riequilibrarne i rapporti, oggi interamente a detrimento del lavoro dipendente. Ma, in Italia, attendere l’avvento di una classe politica capace di elaborare questa visione fa tornare in mente l’opera teatrale ‘Aspettando Godot’, di Samuel Beckett.