Al di fuori della Russia il nome di Lev Nikolaevič Tolstoj è spesso associato ai suoi due romanzi più conosciuti a livello internazionale: Guerra e Pace (1869) e Anna Karenina (1877), entrambi capolavori che, nonostante il loro indiscutibile valore, richiedono al lettore un grande investimento in termini di tempo ed energia per la loro dimensione imponente (in particolare Guerra e Pace è composto da 4 tomi e quasi 2000 pagine in russo!). Ma l’opera e la personalità dell’autore, in cui la sua intima ricerca della verità e la sua creazione artistica appaiono inscindibili, non si possono di certo ridurre solamente ai due romanzi citati: il suo mondo interiore è dominato da un conflitto tra la sua natura “sensuale” fatta di gioia di vivere, baldorie e vita mondana, e la sua natura “morale”, che lo porta a percepire una continua sete di purificazione spirituale, di auto perfezionamento.
Assolutamente peculiare è il suo rapporto con il popolo: Tolstoj, opponendosi alla borghesia e all’ideale del progresso, auspica la realizzazione di un mondo in cui proprietari terrieri e contadini intrattengano rapporti armoniosi sulla base di comuni interessi, lavora concretamente assieme a questi ultimi e denuncia più volte la loro condizione misera, convincendosi dell’ingiustizia dei princìpi su cui si fonda la vita sociale.
Tolstoj, all’età di cinquant’anni circa, riprende anche le sue ricerche religiose a partire da una rilettura approfondita della parola di Gesù: nega i dogmi, la fede nei miracoli e nella Chiesa perché la ritiene lontana dalla verità del Vangelo. La “dottrina tolstoiana” che ne consegue propone all’uomo norme di comportamento pratico come riempire la vita di semplice lavoro e rifiutare ogni forma di violenza (compreso lo Stato); posizioni che gli costeranno l’esclusione dal novero dei fedeli da parte del Santo Sinodo della Chiesa russa.
Il fine di Tolstoj sarà sempre la ricerca della verità, una verità interna all’uomo che si può conoscere solo penetrandone l’essenza, ed è per questo che in tutta la sua vita creativa descrive esperienze e caratteristiche reali, dimostrandosi un grandissimo osservatore della psicologia umana e del suo tempo.
Tutti questi temi si possono facilmente ritrovare nelle opere di Tolstoj che, attraverso i suoi personaggi, fa dialogare tra loro le idee che lo tormentano personalmente, senza mai presentare una verità unica e definitiva.
Nel racconto Tre morti troviamo, ad esempio, l’ideale del contadino russo che conserva la saggezza e l’armonia con il mondo naturale, per cui accetta la vita e la morte spontaneamente. Il racconto si apre con l’arrivo a una stazione di posta di una signora che, malata di tubercolosi, vuole a tutti i costi andare in Italia perché convinta che il clima mite possa migliorare la sua salute; in seguito leggiamo che, nella stessa stazione postale, un contadino sente avvicinarsi la morte. La signora muore impaurita, incredula e la sua coscienza è lacerata. Il contadino muore sommessamente, steso sulla stufa di un’izba di estranei, e prima della morte regala i suoi stivali a un collega perché gli siano utili. Il nuovo proprietario degli stivali, per mantenere la sua promessa di innalzare una croce sulla tomba del contadino, abbatte un albero (che intuiamo essere il terzo morto):
«L’albero ebbe un tremito da capo a piedi, s’inclinò e rapidamente si raddrizzò, tentennando spaurito sulle sue radici. Per un attimo tutto tornò silenzio: ma poi di nuovo l’albero s’inclinò, ci fu uno scricchiolio nel suo fusto: e, tra uno schiantarsi di rami e un piover di cimette, ruinò giù con la vetta sulla terra madre.»
Lo stesso autore ne spiega il significato: la signora muore lontana dalla natura e immersa nella menzogna in cui la sua ragione l’ha condotta, il contadino muore serenamente perché è abituato all’eterno ritorno di vita e morte, l’albero muore magnificamente perché è natura stessa.
La stessa armonia c’è nei popoli non toccati dall’Occidente come quelli del Caucaso e della steppa russa, uomini non intaccati dalla sete di denaro, portatori di culture che vivono in armonia con la natura. L’opera Chadži Muràt è ambientata nel 1851 nel Caucaso, luogo emblema della libertà selvaggia dove abitano popolazioni libere che lo zar Nicola I aveva conquistato senza scrupoli. Il protagonista Chadži Muràt è un personaggio storico realmente esistito, un condottiero àvaro che combatteva per la libertà dei contadini ceceni nel contesto dell’occupazione russa del Caucaso. Murat, inizialmente principale aiutante di Šamil (comandante supremo dei separatisti ceceni) si avvicina ai russi nella speranza di difendere l’indipendenza sua e dei suoi familiari.
Nicola I, descritto come presuntuoso, crudele e lussurioso, è nemico non solo dei contadini ceceni ma anche di quelli russi, che egli tortura mandandoli a combattere nel Caucaso. Tolstoj critica il diritto di morte di un uomo sugli altri, il potere assoluto che annulla ogni sentimento umano, inserendo nella narrazione bellissime immagini di una natura che partecipa agli eventi (emblematico in questo senso è il cardo, simbolo della tenacia e della forza vitale delle popolazioni caucasiche) e indirizzando la simpatia del lettore verso i popoli del Caucaso, portatori di valori come l’onore e la famiglia. Quella descritta da Tolstoj in questo breve romanzo storico non è solo una guerra tra russi e ceceni, ma uno scontro tra verità e ingiustizia, e non solo. Emblematica la scena finale, in cui viene descritta la morte dell’eroe:
“Ma quello che a loro sembrava un cadavere si mosse. Prima sollevò il capo insanguinato, senza colbacco, coi capelli rasati, poi il busto e, aggrappandosi a un albero, si levò con tutta la persona. Il suo aspetto era così pauroso che gli accorsi si fermarono. Improvvisamente però ebbe un tremito, vacillò abbandonando il sostegno dell’albero e cadde, senza piegarsi, a viso in giù, come un cardo reciso alla base dalla falce, e non si mosse più”.