Quando si parla di lavoro, non si possono certamente ignorare i lavoratori più poveri e peggio pagati, quelli che vivono la povertà retributiva come condizione di normalità. Il recente accordo sul salario minimo in UE non cambia le carte in tavola ma le mescola furbescamente. Dice agli stati: fate come volete, se vi va. La normativa si limita a indicare bonariamente una soglia minima, decisa su base oraria o mensile che deve essere garantita ai lavoratori e alle lavoratrici per una vita dignitosa.
Su ventisette paesi dell’Unione Europea solo sei non prevedono un salario minimo: Italia, Danimarca, Cipro, Austria, Finlandia e Svezia. In Germania, paese pioniere di una legge sul salario minimo già nel 2015 con il terzo governo di Angela Merkel si sono visti effetti positivi. Si è passati da 8,5 euro l’ora, a 9,82 euro e attualmente il Parlamento tedesco ha licenziato una norma per i 12 euro lordi l’ora a partire dal prossimo ottobre. Sono previsti controlli stretti e sanzioni penali per i datori di lavoro che proporranno per i propri dipendenti un salario minimo orario inferiore a quello previsto. In Svezia, Paese che presenta delle analogie con il nostro sistema, si sta procedendo verso una normativa per un salario minimo che non metta in discussione il ruolo basilare della contrattazione collettiva. È stata la Francia lo stato che ha battuto il primato per il salario minimo presente dagli anni Settanta; la soglia di accesso viene conteggiata automaticamente, ma il Governo può procedere a degli aggiustamenti. Vengono assistiti sia lavoratori e lavoratrici del settore privato, sia quelli della pubblica amministrazione.
Purtroppo in Italia abbiamo assistito in questi anni a fenomeni perversi sul lavoro, dalla diminuzione dei salari al precariato, dall’alta disoccupazione ai problemi di accesso al lavoro da parte di molte fasce della popolazione come i giovani e le donne. Per questi motivi è necessario rivedere l’attuale sistema contrattuale. I contratti collettivi nazionali che vengono concordati e firmati tra i rappresentanti dei lavoratori e i datori di lavoro in Italia sono quasi mille, per la precisione 935, e garantiscono una copertura all’80 per cento dei lavoratori. Solo il 33% dei contratti è stipulato dai sindacati confederali. Ogni contratto, tra le altre cose, stabilisce un minimo salariale e delle condizioni che purtroppo non sempre vengono rispettate. Un’indagine della fondazione Adap ha stimato che, escludendo chi lavora nell’agricoltura e nel lavoro domestico, i lavoratori coperti dai contratti collettivi sono il 97 per cento del totale: gli esclusi sarebbero tra 700 e 800mila. Se la letteratura scientifica ci dice che l’indice di protezione del lavoro EDPL è crollato del 30% in trent’anni, se nello stesso periodo i salari sono rimasti al palo, perdendo più del 2% del loro potere di acquisto, evidentemente anche su questo fronte normativo abbiamo un problema. I numeri ce lo dicono chiaramente.
Decenni di controriforme del mercato del lavoro hanno smantellato diritti e prodotto miseria: 3 milioni di precari, 2,7 milioni di lavoratori in regime di part time involontario, 4 milioni di disoccupati e il favorire la crescita di basse qualifiche professionali (+2%), come commercio e servizi, che riguarda il 34% degli occupati in Italia contro il 28% dell’Eurozona. Nel 2019 i lavoratori dipendenti hanno lavorato 1583 ore: 30 in meno dei colleghi spagnoli ma 249 in più dei tedeschi e 165 in più dei francesi. Nel 2018 nel settore privato secondo l’Inps, sugli oltre quindici milioni di dipendenti più di dodici milioni hanno percepito una retribuzione inferiore al salario medio lordo (30 mila euro). In Italia si lavora di più, a condizioni peggiori e con retribuzioni più basse. L’esempio che riassume tutto quello appena detto è il contratto dei cosiddetti servizi fiduciari, la vigilanza, in cui il minimo salariale è di 4 euro e 60 all’ora e non è rinnovato dal 2015.
Il problema è così evidente che ne danno notizia anche i quotidiani locali. In un recente articolo del Gazzettino si segnalano infatti i risultati di un’indagine della CGIA di Mestre: tra gli svantaggiati sotto i 9 euro lordi, ci sono il 52% degli artigiani, il 34% del terziario, il 10% dell’industria, per non parlare di camerieri, personale di pulizia, giardinieri, centralinisti e numerose realtà del commercio che percepiscono mance, non stipendi.
Nella galassia PD c’è molta reticenza e voglia di giocare al massimo ribasso perché la Direttiva europea detta delle regole precise e propone di deliberare una norma certa sopra la soglia di povertà fissata da Eurostat nel 2018 a 7,66 euro l’ora. Tuttavia secondo la Senatrice Nunzia Catalfo, ex Ministra del Lavoro e autrice di una proposta di legge in tal senso, è consapevole che la strada i tempi sono maturi ma che la complessità del problema ci porta lungo una strada tutta in salita. Nel nostro ordinamento non esiste una estensione per tutti i lavoratori dei minimi contrattuali nazionali, per cui dei 900 contratti in essere tanti tendono al ribasso. Sempre secondo Catalfo, questa soglia non potrà essere ridotta attraverso un accordo collettivo o privato e, si considererà un limite di retribuzione sotto al quale il datore di lavoro non potrà scendere senza violare la legge.
Anche Potere al Popolo ha lanciato una campagna per un salario minimo orario pari a 10 euro lordi l’ora: non è volere la luna, ma una paga davvero minima per tante lavoratrici e lavoratori. È il primo step concreto dall’alto valore simbolico per riconquistare dignità e per ridare importanza a quel lavoro di cui imprenditori, manager, ricchi che campando di rendita a nostre spese, trovano anche il tempo di sbeffeggiare. Il salario minimo legale non dovrà essere un punto di arrivo, ma un punto di partenza. Sarà un punto di partenza per poter tornare ad immaginare un lavoro diverso, dignitoso. Il punto di partenza per rivendicare non solo salari più alti, ma anche condizioni di lavoro più dignitose che invertano la tendenza funesta imposta da moderazione salariale, precarizzazione contrattuale quali uniche soluzioni al contenimento del costo del lavoro e alla riduzione della disoccupazione.
Per noi, cifre ancora improprie, e una domanda necessaria ai soggetti politici coinvolti: “Un salario minimo garantito non significherebbe di conseguenza anche un impegno più forte e deciso contro il lavoro nero e quello sommerso?”
https://www.ilpost.it/2022/06/08/salario-minimo-italia/
https://www.questionegiustizia.it/articolo/il-salario-minimo-nel-quadro-comparato
di Emanuele Menegatti, professore di diritto del lavoro nell’Università di Bologna
Il salario minimo solo se europeo, Luca Dall’Agnol, il manifesto, 16 giugno 2022
Salario minimo, una soglia dignitosa valga per tutti, Massimo Franchi, il manifesto, 9 giugno 2022
L’Ue apre al salario minimo ma senza obbligo, Gabriele Rosana, il gazzettino, 7 giugno 2022
A Strasburgo l’ultimo passaggio sul testo a un anno e mezzo dal primo varo da parte della Commissione europea. In Italia Ddl fermo in commissione, Sole24ORE, 6 giugno 2022
Emiliano Brancaccio Democrazia sotto assedio Piemme 2022
I lavoratori italiani guadagnano meno di 30 anni fa, Margherita Colella, Rivoluzione 2022