L’ultimo dell’anno – uno dei più devastanti anni di questo duemila – è andato in onda sul primo canale della tv Russa il programma: Ciao2020. Nulla di nuovo. Ogni nazione ha il suo L’anno che verrà, con un presentatore in vista, ballerini, cantanti e momenti ironici; tutto per poter accompagnare lo spettatore televisivo verso la conclusione del vecchio anno e, in particolare, aiutarlo nel countdown. Eppure qualcosa di diverso c’è se quel programma rimane fra le tendenze di YouTube e richiama l’attenzione di un popolo straniero macinando milioni di visualizzazioni sulla piattaforma sopracitata.
Chi è attento avrà notato che il titolo è scritto in italiano e non in russo. No, non è una traduzione, ma l’effettivo nome della trasmissione. Ciao2020 è un programma per il pubblico russo, pensato e scritto dai russi, ma parlato e messo in scena all’italiana. In particolare richiama uno dei momenti più bizzarri della tv italiana: gli anni ’80. Dalle pettinature cotonate, ai vestiti dai colori sgargianti, fino a una composizione del programma stesso che oggi risulta imbarazzante.
I russi, lo sappiamo bene, hanno un particolare amore per quel periodo della storia italiana e per taluni cantanti: Albano, Toto Cutugno, Celentano, I Ricchi e Poveri ecc. Forse si ignorava, a fronte di tutto questo, quanto avessero fatto impressione i programmi televisivi degli anni ’80. Così, fra un mix di Indietro tutta!, Non è la Rai, Sanremo e così via, si arriva alla concezione di uno degli spettacoli più sorprendenti della tv degli ultimi anni.
Ciao2020 sorprende per vari motivi. Il primo è sicuramente l’impegno messo da tutti per portare una trasmissione interamente parlata in un’altra lingua. Il secondo è la profonda parodia che si è fatta dell’Italia e della sua televisione. Quel che è stato riportato denota una buona conoscenza di quei programmi e, dunque, alla base c’è sicuramente l’intenzione non di denigrare ma omaggiare qualcosa vista con occhi che portano un altro tipo di background.
Nonostante le traduzioni non perfette, le gag che restituiscono un forte senso di cringe e la consapevolezza di scoprire com’eravamo e come siamo visti all’estero, la tematica più forte va oltre tutto ciò e va sulla consapevolezza che in Italia un’idea del genere sarebbe stata cestinata ancor prima di trovare un titolo. La ragione è una sola: in Italia è sempre più raro trovare prodotti che possano essere liberamente parodici o satirici.
Ne testimonia l’assenza – sulle tv libere e di Stato – di comici che infieriscano sui poteri forti della nostra Nazione, con buona pace per il multiverso di Crozza e qualche altro timido e sporadico comico imitatore. Ne testimonia l’assenza di prodotti come South Park o programmi televisivi in cui il conduttore depone la veste da democristiano e inizia a randellare verbalmente, come faceva Luttazzi in tempi ormai lontani.
Un paese dalla grande tradizione comica ha prosciugato negli anni la sua verve satirica, lasciando solo qualche piccola oasi per chi sa cercare con oculatezza. Si è forzata così tanto la mano di un presunto politically correct da condurre l’espressione artistica a un appiattimento totale. Persino quella mina impazzita di Roberto Benigni, che sul palcoscenico portava la vitalità e l’estro di chi si sente libero e felice nel dire ciò che vuole, negli anni si è ridimensionato, avvicinandosi alla pensione in veste di oratore.
Vedere il Papa vestito con una tunica tempestata di gioielli e filamenti d’oro, mentre accende una ciabatta comune, per dare simbolicamente il via al 2021, sicuramente impressiona le fila di credenti ma è giusto che ci sia. Com’era giusto che non venisse bandito dal mercato cinematografico Il Pap’occhio di Renzo Arbore; uscito proprio nel 1980, all’inizio di un decennio di forte decadenza del cinema comico italiano.
La libertà di espressione e la spensieratezza goliardica sono stati sempre più schiacciati dai governi, fino a farne quasi scomparire le tracce, a favore di un perbenismo tossico. «Non si parla di politica.» È lo slogan di questi ultimi decenni, ripetuto talmente tanto da convincere tutti che è giusto così. Che i cantanti non infilino versi politici nelle canzoni, che gli attori tacciano e che i comici parlino di vita quotidiana e non vadano a nominare questo o quell’altro politico ecc. ecc.
Oggi, la Russia, ci ricorda che è bello prendersi in giro, anche quando si ha affetto e ammirazione per il soggetto in questione e che, questo genere di prodotto, non va a demolire ma a costruire una consapevolezza più immediata e spontanea in chi l’osserva.
Diceva Claudio Magris: «L’ironia è un atto di amore e di libertà; è un aiuto a riconoscere i nostri limiti.».
Grazie Ciao2020.