I grandi libri spesso sono quelli che aprono nuove prospettive di ricerca, strade inedite prima inesplorate, scenari di senso ai quali non si poneva sufficiente attenzione, e, purtroppo, a questa categoria appartengono non di rado testi poco conosciuti, se non proprio dimenticati, annegati nella sovrapproduzione di un mercato editoriale saturo.
Uno di questi è un saggio del 1995, del bravissimo storico Nico Perrone, su “De Gasperi e l’America”, dall’intrigante sottotitolo, “Un dominio pieno e incontrollato”, geniale trasposizione della celeberrima frase che Moro indirizzò a Cossiga dalla prigione brigatista in un contesto storico differente, quale quello della ricostruzione economica e politica dell’Italia del secondo dopoguerra sotto il segno dello statista democristiano.
La ricerca di Perrone, storico vero che fa parlare le carte e i documenti raccolti in Italia e negli Usa, all’epoca anche desegretati da poco, suggerisce nuove vie e opinioni non scontate, non impone, lascia al lettore la possibilità di interpretare autonomamente, apre ad una lettura critica della figura di De Gasperi che in Italia è un vero tabù storiografico e politico, dato che la memoria che si è sedimentata sul personaggio negli ultimi decenni indulge alla costruzione di una vero e proprio “santino” politico indiscusso e intangibile.
Dalle oltre trecento pagine del saggio, emerge un De Gasperi preda di una idea dell’Italia debole e subalterna, tutto teso a drammatizzare il pericolo comunista per indurre gli americani ad allargare i cordoni della borsa per finanziare il paese e la sua economia, ma anche per puntellare il precario, almeno agli inizi, governo uscito dalla guerra, e il partito che si sarebbe fatto stato nei decenni a venire: la Democrazia Cristiana.
Non solo, il leader centrista non si sarebbe fatto scrupolo di chiedere agli Usa di pattugliare le coste con mezzi della Marina americana, per intimidire i comunisti e di poter usare le maniere forti con le masse lavoratrici del paese per indurle a più miti consigli, tanto che Scelba divenne una sorta di uomo forte del sistema politico italiano che garantì gli Stati Uniti, per la sua risolutezza e determinazione nel contenere il pericolo comunista.
In definitiva, l’immagine di pacato e remissivo cattolico in odore di santità, è una costruzione successiva della propaganda democristiana, e della piaggeria delle ricostruzioni ad uso e consumo di finzioni televisive per il grande pubblico. In realtà, De Gasperi fu un capo politico duro e non proprio vicino al sentire popolare, prono agli interessi americani e che non si fece certo pregare nel dipingere un paese più povero e bisognoso di quello che era, pur di muovere a compassione l’alleato a stelle e strisce del quale aveva disperato bisogno, ai fini del mantenimento del potere nel governo e nel partito.
Non solo, fu deciso anche nel sostenere in tutto e per tutto le politiche economiche deflattive e recessive, fatte apposta per contenere l’inflazione che vedeva una lira svalutata del 50% nel 1947, di Luigi Einaudi, vero dominus dell’economia e della finanza dell’Italia per lunghi anni, capace di accentrare anche cariche politiche, un unicum della storia repubblicana, tanto che Togliatti malignamente osservò che la politica in Italia era decisa dalla Banca d’Italia…
Einaudi prese la palla al balzo per introdurre principi e prassi liberiste, mise in atto misure di rialzo dei prezzi, di apprezzamento della moneta, di contenimento salariale e di vera e propria repressione finanziaria che crearono malcontento e disoccupazione, tanto che vibranti proteste si levarono da ampi settori della Dc, a partire da Fanfani e Dossetti.
Contrariamente a quello che si pensa, la vera ricostruzione di un accettabile tessuto economico del paese avvenne con il superamento delle politiche einaudiane e con l’adozione, da parte dello stato maggiore democristiano, di una visione più orientata alla spesa pubblica per sostenere consumi e investimenti, e di questo ne beneficiò la classe lavoratrice e la trama diffusa dell’imprenditorialità del Belpaese, mentre Einaudi, e Scelba e De Gasperi di conserva, avevano azzerato la capacità di negoziazione dei sindacati e le possibilità di sbocchi economicamente vantaggiosi per le industrie italiane.
Insomma, la vera ripresa economica, il boom, venne con Fanfani, Saraceno e Vanoni, non certo con il duo De Gasperi/Einaudi, ma gli italiani sono stati portati a pensare che la rinascita fosse da addebitare allo statista trentino, per dire del potere della propaganda. Addirittura, la Banca d’Italia, come risulta dalle raccolte documentarie, esplicitamente frenò la ricostruzione del paese, per privilegiare il contenimento del disavanzo pubblico e la stabilità della moneta, pare quasi una prefigurazione di politiche austeritarie della futura unione europea.
Anche allora la ripresa fu pagata dalle classi lavoratrici, mentre la grande industria fu favorita, elusione fiscale compresa. Ma l’aspetto più inquietante della ricostruzione storica di Perrone, risiede nella demistificazione di uno dei miti repubblicani più longevi e più inscalfibili: quello che attribuisce al Piano Marshall la ricostruzione e la salvezza della nazione.
In realtà, Perrone dimostra, numeri alla mano, e riporta scritti di Savona e altri a testimonianza di questo, che il Piano in verità non fu così decisivo ai fini della ripresa e dell’efficientamento economico, gli aiuti monetari non furono così consistenti come voleva la propaganda, ma fu fondamentale per reinserire l’Italia nel consesso internazionale, nel concerto delle nazioni guidate dai principi del libero mercato e del liberalismo economico.
In sintesi, l’America ottenne la piena annessione dell’Italia nella sfera geostrategica occidentale, con poche contropartite e con scarso esborso economico, mentre noi perdemmo per sempre l’autonomia politica e ideologica. Divenimmo colonia, uno stato a sovranità limitata. Anche in questo caso, ritorna alla memoria un altro parallelo con un Recovery più attuale di cui si discute nelle ultime settimane, quello del dopoguerra era lo European Recovery Program, e che potrebbe avere i medesimi connotati di veicolo di condizionamenti politico-finanziario.
Quante analogie! In conclusione, Perrone, storico vero, non alla Paolo Mieli, personaggio oggi tanto di moda, ci offre un affresco potente e demistificante di una figura politica controversa e piena di lati oscuri, ma con un grande merito storico: la difesa delle iniziative di Enrico Mattei che riuscirono, in barba alle pressioni americane, a costruire politiche energetiche degne di una grande potenza negli anni ’50 e ’60. E questo grazie a De Gasperi, sul punto Perrone è intellettualmente onesto, infatti dedicò un altro bellissimo libro alle vicende del presidente dell’Eni, in relazione alla guerra fredda e al dominio dell’offerta petrolifera. Ma questa è un’altra storia.