Dopo un bel incontro con il professor Emiliano Brancaccio a parlare del suo ultimo libro, Democrazia sotto assedio: la politica economica del nuovo capitalismo oligarchico pubblicato per PIEMME (https://youtu.be/jbVTpfzG2Kw), ecco che oggi una bancarella dell’usato in centro a Udine mi fa una sorpresa: i discorsi che l’allora segretario generale del PCI Enrico Berlinguer pronunciò all’inizio del 1977 ad un convegno e ad un’assemblea degli operai comunisti. L’editore mette il cappello a questi due interventi con il seguente titolo: Austerità, occasione per trasformare l’Italia. Il corto circuito è fatto. Ma facciamo un passo in dietro.
Il professor Brancaccio ci ha raccontato che l’instabilità del sistema ha ormai travalicato i confini dell’economia. I giochi del capitale con i suoi oligarchi ci mostrano come la lotta di classe ci sia ancora e la stiano vincendo i ricchi imponendo il loro comando sul lavoro e piegando le istituzioni a precisi interessi di classe, essi stessi conflittuali al loro interno. Tutto ciò testimonia un’egemonia liberale in crisi. Ecco quindi che la ricerca di un’ alternativa, a cui è dedicato un capitolo del libro, non può che venire da uno scontro confronto tra due visioni costitutivamente diverse: una che prende a prestito le leggi di tendenza marxiane sperimentate attraverso una moderna analisi scientifica dalle solide basi empiriche e l’altra, nel caso specifico del libro, quella espressa di Daron Acemoglu, che non ha potuto che riconoscere il valore di tali leggi e di quell’ambizioso progetto scientifico che Marx ha cominciato. Daron Acemoglu dice che la democrazia liberale è sotto assedio. Parafrasando quindi il titolo del suo libro, verso la democrazia convergono le forze di un assedio dettato dalle leggi del potere capitalistico in crisi che la stanno portando verso una biforcazione catastrofica dagli esiti imprevedibili. Una nuova prospettiva di classe si potrà realizzare quindi solo attraverso il punto di vista di un’intelligenza collettiva capace di forzare le attuali narrazioni e unire la classe subalterna e i lavoratori per farli uscire dallo stato di sfruttamento in cui sono precipitati. Basti pensare che anche solo parlare di salario minimo è un problema per padroni, banche e politici, tutti impegnati a prendersela con il reddito di cittadinanza, il vero ostacolo alla piena occupazione con paghe di fame. Bisogna tirare la cinghia.
Nel 1977 questo era quello che pensava il partito Comunista Italiano per bocca di Enrico Berlinguer: “noi abbiamo avanzato l’idea di un progetto di rinnovamento della società italiana da avviare nel corso stesso di una politica di austerità o, meglio, facendo di questa un’occasione, una leva per trasformare la nostra società”. A due anni dall’accordo Agnelli-Lama che prevedeva l’introduzione della scala mobile e del punto unico di contingenza per tutti i lavoratori, e quindi l’adeguamento automatico dei salari all’aumento del costo della vita in misura inversamente proporzionale al reddito, ecco comparire i profetici segni di un mondo a venire. “L’austerità è una scelta obbligata (…) per sanare l’economia nazionale, riavviare la ripresa produttiva, mantenere e allargare l’occupazione”. Quella che avrebbe dovuto essere la facile risposta alle richieste di una società in forte cambiamento, segnata da tensioni insostenibili e rapporti di forza fortemente sbilanciati verso la classe lavoratrice, fu un’idea ingenua dettata da analisi sbagliate e sottovalutazioni dei rischi che di lì a poche decine di anni dopo produssero i frutti maturi che tutti noi conosciamo.