Nel 1986 il regista e animatore Jimmy Murakami firma una deliziosa opera dal titolo Quando soffia il vento, incentrata su una delle paure più grandi del dopoguerra: il nucleare. I protagonisti sono una simpatica coppia di pensionati britannici, che vivono pacificamente in una villetta, fuori dal caos cittadino. Emerge, nel corso del film, la loro semplicità, l’abitudine al quotidiano, un ricordo eroicamente ironico della seconda guerra mondiale ed il loro dolce rapporto di coppia.
Protagonisti indiscussi di quest’opera, dovranno affrontare la paura per il disastro globale, per la fine imminente del mondo vissuto, affidandosi ciecamente alle certezze integerrime dello Stato. Il marito è quello che più crede negli ordini impartiti dal governo. Munito di vari dépliant istituzionali si adopera per capire cosa fare nel caso una bomba nucleare piovesse giù dal cielo. Le soluzioni sono alla stregua del creare un piccolo fortino in legno con una parete che abbia la giusta angolazione, la pittura di un determinato colore ed altre soluzioni infantili.
Insomma, lo spettatore può tranquillamente sorridere dell’ingenuità del protagonista, che si arrabatta per creare una specie di cuccia nel salotto di casa, dove a stento riuscirebbero a stare sdraiati lui e la moglie. Eppure i volantini dello Stato dicono che è il modo migliore per far si che la nube tossica e le radiazioni vengano schermate. Se non si ha fede nelle istituzioni e nei media, come si potrebbe agire in propria difesa?
D’altronde, pochi altri credono seriamente alla possibilità di una tale catastrofe. La moglie pur non intralciando i buffi lavori di carpenteria del marito, specifica come le sarebbe impossibile restare nel rifugio saltando l’ora del tè. Il figlio, appartenente a quella generazione più fatalista e meno attaccata alle istituzioni, sghignazza agli avvertimenti del padre. Persino gli spettatori sono indotti a ignorare la tragedia futura, poiché consapevoli che quelle paure postbelliche non trovarono riscontro nella realtà.
Poi, di colpo, accade. La bomba viene sganciata. Non direttamente nella zona dei protagonisti, ma abbastanza vicino da fargli contemplare il mondo post apocalittico. Abbastanza vicino da inondarli di radiazioni che, giorno dopo giorno, nella disperata quotidianità che cercano di ritrovare, li condurranno verso una morte dal sapore di abbandono.
Dallo scoppio della bomba al termine del film, è assordante l’assenza di aiuto da parte di quello Stato che con sicurezza dispensava consigli su radio, televisione e giornali ed è commovente la fede perpetrata dal protagonista.
L’affezione creatasi durante il film per quella tenera coppia lascia lo spettatore emotivamente nudo e concettualmente sbigottito. C’è l’incrollabile convinzione che lo Stato avrebbe dovuto fare sicuramente di più, ma anche la consapevolezza che era quasi impossibile tutelare davvero tutti gli abitanti con un rifugio antiatomico, in grado di dargli la sopravvivenza durante gli anni delle radiazioni tossiche esterne. Dopodiché restano i dubbi irrisolti: che fine ha fatto il resto del Paese? I membri del governo erano davvero convinti di quelle informazioni così palesemente inutili?
La voce del Duca Bianco ci lascia solo il tempo di riflettere su un addio malinconico che schernisce quei vecchi dépliant di Protect and Survive.
Alfine resta la consapevolezza che non tutte le soluzioni adottate e promulgate dallo Stato, riguardo queste catastrofi, siano le soluzioni reali e migliori. Il cittadino finisce per domandarsi costantemente se ne vale la pena. Se davvero quegli uomini preposti al bene collettivo, facciano azioni concrete e non vane. In tutto ciò c’è qualcosa che attanaglia i cittadini: l’idea che di fronte a mali nuovi e sconosciuti debba rimettersi completamente nelle mani del proprio Governo, anche se cambia le soluzioni di mese in mese, smentendosi palesemente e cercando di arginare l’imbarazzo dello studente che balbetta sui propri errori.
La fede è una cosa che non piace tanto ai contemporanei. Immersi in una realtà scientifica e tecnologica non si dà spazio ad una: «Credenza piena e fiduciosa che procede da intima convinzione o si fonda sull’autorità altrui più che su prove positive.».
Qui non si parla, ovviamente, della fede religiosa, che, mal che vada, ti promette un bell’aldilà; ma si parla di fede nelle istituzioni, fede in quel pugno di uomini seduti sulle poltrone più comode dello stato e che, in collegamento con gli enti più specializzati, diventano i Mr. Wolf della situazione – sicuramente con meno carisma. Quando, di fronte ai ripetuti passi indietro, si cerca di mandare avanti questa fiducia, diventa sempre più difficile. Quando le parole di un dio vengono ripetutamente smentite dai fatti, questa divinità inizia a perdere credibilità. I fedeli, allora, inizieranno a sfaldarsi e, come nel film, si divideranno in: coloro che credono stoicamente nelle parole del dio – come il protagonista Jim, coloro che sospettano scetticismo ma senza troppi lamenti accettano – come la moglie Hilda, ed infine quelli che ridono in faccia alla divinità spogliandola di qualsiasi potere – come accade al figlio della coppia.
Quando soffia il vento, insieme a tante altre cose, avverte la necessità umana di credere ciecamente in qualcosa. In assenza di ciò si avrebbe il caos, l’anarchia, il sovraffollamento di voci poco autorevoli, ma convincenti, per quel popolo tradito in cerca di nuove verità.
L’importanza del buon lavoro e della buona informazione sono alla base di questa fede laica che mai dovrà essere tradita per giochi di potere politici o altre ragioni simili. E… riflettendo sulla nostra contemporaneità, non sono pochi i parallelismi fra ciò che affrontarono Jim e Hilda Bloggs e ciò che da più di un anno ha sconvolto le nostre vite. Schiavi di un male invisibile e taciti di fronte soluzioni spesso inefficaci e contraddittorie.