Ucraina in fiamme, ci piange il cuore di fronte all’aggressione, ai profughi, alle distruzioni e il nostro fiato resta sospeso in una storia senza tempo.
Non pensate a una sottovalutazione della guerra in corso e ad una indifferenza per i tormentati destini delle persone coinvolte se vi porto a riflettere su un problema legato al nostro punto di osservazione; il commercio del grano, non solo sotto osservazione per le ricadute sull’Italia ma anche per i rifornimenti destinati ad altre aree del mondo, per esempio l’area mediorientale. Anche gli americani silenziosamente presenti nelle importazioni di grano con il Canada pronto a esportarci il suo grano inquinato.
Che cosa compriamo dagli Stati in guerra?
GRANOTURCO
Se pensiamo innanzitutto al Granoturco, dobbiamo ricordare che la nostra produzione è insufficiente e dobbiamo rivolgerci a Paesi diversi per coprire il 53% delle nostre necessità. L’Ucraina ci rifornisce di un milione e mezzo di tonnellate di granoturco; oltre a questo, ci siamo però dovuti rivolgere negli ultimi due anni a Romania e Ungheria, Austria e Slovenia, pur comprando da Kiev più di 700mila tonnellate.
Ricordiamo che l’Ucraina, vero granaio del mondo, rifornisce anche la Cina; un terzo delle importazioni cinesi di mais serve a ingrassare gli immensi allevamenti di maiali, secondo il Financial Times, per questo la Cina si tiene abbastanza prudentemente fuori dal conflitto in corso, per non vedere penalizzata la propria importazione.
GRANO TENERO e GRANO DURO, soprattutto necessari all’Italia
Situazione scottante quella del nostro Paese per il prezzo del grano tenero, che ha superato più di 350 euro a tonnellata. In Italia giunge il 60% del grano tenero per produrre pane, pizza e biscotti.
Nei primi mesi del 2021 dall’Ucraina abbiamo importato il 3 per cento del totale delle importazioni di grano tenero, circa 122.000 tonnellate (dati Italmopa) Sempre nei primi mesi del 2021, sono entrate 72.500 tonnellate di frumento tenero dalla Russia, il 2% del volume totale delle importazioni di questo cereale in Italia.
Anche il grano duro risente della crisi, ma meno pesantemente. Noi importiamo il 35% del nostro fabbisogno di grano duro, per la pasta; dalla Russia nel periodo gennaio/novembre 2021 sono arrivate circa 52.000 tonnellate, meno del 2,5%. In base a tali percentuali, l’industria non dovrebbe avere difficoltà insormontabili nel reperire altrove la materia prima da lavorare.
Quale problema si registra durante il conflitto in corso?
Il vero problema riguarda l’impatto del conflitto sulle quotazioni del grano, tenuto conto della rilevanza della Russia e dell’Ucraina sui mercati mondiali del frumento tenero e del mais, con un deciso rialzo dei prezzi. Parimenti si potrebbero verificare problemi per quanto riguarda la logistica e i tempi di consegna delle merci. Insomma, la crisi potrebbe essere meno esplosiva di quel che si dice, anche se la paura della carestia potrebbe spingere gli speculatori a lucrare. L’evoluzione della crisi dipenderà, dunque, oltre che dalle operazioni militari, anche da eventuali sanzioni da infliggere alla Russia.
Esisteva già una guerra commerciale prima del conflitto? Quali sono le multinazionali presenti nell’aerea?
Senza dubbio esisteva già una guerra commerciale nell’area. Negli ultimi anni la presenza americana nell’economia ucraina era diventata sempre più importante, nell’insofferenza di Mosca. Una nave mercantile, noleggiata dalla multinazionale americana Cargill, nei giorni scorsi è stata colpita da un missile mentre stava uscendo da un porto del Mar Nero. La società possiede una quota in un porto d’altura vicino a Odessa e ha più di 500 dipendenti in impianti ucraini di lavorazione di cereali e semi oleosi. Alcune società si stanno oggi ritirando, come ad esempio ADM, Archer Daniels Midland Co., sempre americana, che impiega più di 630 persone e gestisce un impianto di frantumazione di semi oleosi a Chornomorsk, un terminal di Odessa, più cinque terminal nell’entroterra, un silo fluviale e un ufficio commerciale a Kiev. Anche Bunge (ancora una società americana con una sede a Ravenna) ha sospeso le operazioni in Ucraina, nonostante impiegasse più di 1.000 lavoratori in quel Paese. Non è certo interesse di Putin chiudere i porti ucraini e quelli del mare di Azov (collegato al Mar Nero) visto che il grano è richiestissimo anche per gli scarsi raccolti registrati in altri Paesi produttori, come il Canada. La guerra commerciale, anche se non plateale, è pertanto in atto.
E i cambiamenti climatici faciliteranno il desiderio di Putin di mantenere un ruolo internazionale centrale? Verrà penalizzata la Russia?
Negli ultimi anni anche il cambiamento climatico ha giocato un ruolo determinante nell’area. L’ultimo rapporto dell’ IPCC Intergovernmental Panel on Climate Change, infatti, dà notizia della fuga verso nord di vegetali e animali dalle latitudini tropicali sempre più torride verso il nord del mondo.
L’8% dei terreni agricoli odierni non sarà adatto all’agricoltura entro la fine del secolo, anche restando al di sotto di 1,6 gradi Celsius entro il 2100.
La Russia avrà dei vantaggi in seguito ai cambiamenti climatici e li userà a suo favore, anche se è stata in prima fila responsabile dei cambiamenti climatici con l’estrazione, l’uso e l’export di combustibili fossili.
Le conseguenze della guerra influenzeranno, poi, certamente le importazioni per quei Paesi della fascia mediorientale già acquirenti di Russia e Ucraina.
Davanti a tutti l’Egitto, il maggiore acquirente, che già spende miliardi di dollari ogni anno per sovvenzionare le spese sul pane: L’Egitto, infatti, è il più grande importatore al mondo di grano e fa compere soprattutto in Russia e Ucraina, per l’85% delle sue importazioni. Qualsiasi shock ai prezzi globali creerebbe danni enormi anche a Iraq, Marocco, Tunisia. L’anno scorso il Medio Oriente ha importato più di 36 milioni di tonnellate di grano, secondo un’analisi del Dipartimento dell’Agricoltura degli Stati Uniti. E la maggior parte proveniva, ancora una volta, da Russia e Ucraina.
Dal Cairo a Teheran, il timore è che la guerra portata dalla Russia in Ucraina possa far salire notevolmente i prezzi del grano, portando con sé proteste popolari contro i governi in carica. Le economie dei sopra citati Paesi appaiono già gravate dalla pandemia, dalla siccità e da altri conflitti e sembra difficile che questi Paesi possano rinunciare ad avere legami stretti con Putin, rinunciando a servirsi del serbatoio di grano di Russia e Ucraina
Come sempre, dietro tutti i conflitti si nascondono lotte per le risorse di un territorio, controllo di porti e liberi accessi commerciali ad aree lontane e vere e proprie guerre commerciali utili a consolidare il ruolo di alcuni Paesi su altri, guerre senza scrupoli per le vite umane sacrificate al predominio economico e al profitto.
stopttipud@gmail.com
Fonti
- Ucraina. Il granaio d’Europa «brucia»: s’infiammano domanda e prezzi Paolo Viana, AVVENIRE, venerdì 4 marzo 2022.
- La pasta è sana? Ecco i test che ci svelano le marche in cui sono presenti pesticidi e micotossine FRANCESCA BIAGIOLI, Greenme, 4 MARZO 2022
- La guerra colpisce il grano, aumentano i prezzi di pane e pasta da yahoofinanza
Primo Piano, lunedì 28 febbraio 2022.