La figura di Ivan IV “Grozny”, primo zar di Russia (non ancora “di tutte le Russie”: Grande, Piccola e Bianca), è avvolta per noi occidentali da un velo di lontananza e di esotismo: nei libri di scuola viene citata appena, e non tutti hanno avuto l’occasione di vedere la straordinaria pellicola diretta in epoca staliniana da Ėjzenštejn. Tuttavia l’importanza di quest’uomo vissuto tra il 1530 e il 1584 è innegabile, sia per il fatto che con (e grazie a) lui la Russia fa il suo ingresso nella Storia europea sia perché egli incarna il modello, l’archetipo se vogliamo, dell’autocrate moscovita cui si ispireranno, coscientemente o meno, i grandi leader suoi conterranei dei secoli successivi: da Pietro il Grande a Vladimir Putin, passando per Iosif V. Stalin (georgiano di nascita, ma grande russo d’adozione). Potremmo azzardarci a definirlo un anticipatore: la modernizzazione del Paese, riproposta in epoche diverse dai citati Pietro I e Stalin, la spietata e sistematica persecuzione degli oppositori, l’affidamento su una sorta di “polizia segreta” dai metodi brutali (l’opricnina creata da Ivan è l’antenata di Ochrana, NKVD e FSB), il contrastato rapporto di amore/odio con l’Occidente sono tratti caratterizzanti un regno piuttosto lungo e una personalità complessa e contraddittoria.
Quando il futuro “Terribile” viene al mondo la Moscovia su cui è destinato a regnare è un granducato trascurabile, considerato semibarbaro e periferico dai non molti che ne hanno sentito parlare: le vicende storiche si svolgono altrove. Complice l’autoisolamento della Cina dei Ming, fino a inizio ‘400 il Paese più progredito al mondo, è adesso l’Europa a dare le carte: gli spagnoli stanno edificando un immenso impero in America Latina, i portoghesi si espandono ovunque, Inghilterra e Francia gettano le basi della prosperità futura. Sul vecchio continente fiorisce il Rinascimento che, irradiandosi dall’Italia, raggiunge assieme a pittori, architetti e intellettuali le contrade più sperdute – ma non la Russia medievale, contadina e in gran parte dominata dai Tartari dell’Orda d’oro. Niente insomma lascia supporre che quella nazione fredda, spopolata e dall’estensione territoriale ancora piuttosto ridotta assurgerà, nella seconda metà del millennio, a grande potenza europea e poi mondiale.
L’infanzia del principe è solitaria e infelice: rimasto orfano in tenera età ascende giovanissimo al trono, ma a governare di fatto sono i magnati chiamati boiari, che lo trattano alla stregua di una loro creatura. Ivan sembra un ragazzo docile e introverso che passa le giornate sui libri, ma a un tratto coglie tutti di sorpresa e fa assassinare il capo degli “oligarchi” di allora. A quattordici anni prende in mano le redini del Paese e non le lascerà più fino alla morte. Diviene un uomo alto e possente, ma soprattutto enigmatico e pericoloso. A una cultura e un’intelligenza non comuni fanno da contraltare una sfrenata passionalità e una ferocia barbarica: implacabile nella vendetta è capace, dopo aver ordinato i peggiori misfatti, di sparire dalla scena per periodi prolungati di mistico abbandono. Gli manca il senso della misura tipico dell’uomo rinascimentale (idealizzato) e non assomiglia a nessun altro sovrano europeo: d’altronde è confinato nella steppa, in un mondo altro che appare ancor più remoto e misterioso di quello dominato dagli Ottomani. In ogni caso si dimostra un governante pieno di iniziativa e di talento: riorganizza lo Stato, dotandolo di un’amministrazione, fonda un nuovo ed efficiente corpo militare, quello degli strel’ci – sul modello dei giannizzeri turchi – avvia fortunate campagne di conquista a est. I khanati tartari (Kazan, Astrakan) cadono uno dopo l’altro nelle sue mani, la Moscovia ingloba il bacino del Volga – poi l’attenzione di Ivan il Terribile (badate che il sostantivo non ha affatto valenza negativa!) si volge verso l’area baltica, cioè verso Occidente. Nel frattempo egli si è nominato Czar, che significa Cesare, proclamando Mosca “terza Roma” – si noti che questa vanteria lo mette in competizione con il sultano di Costantinopoli: anche Maometto II si reputava erede diretto degli imperatori romani e il suo sogno era quello di farsi incoronare nella “mela rossa” – l’Urbe – dopo averla presa d’assalto. Meraviglia lo smaliziato e poco fantasioso osservatore odierno il fascino esercitato sui condottieri di populi novi dal mito di una Roma all’epoca in piena decadenza, ma i simboli allora erano fondamentali, ispiratori – e lo sono tuttora per le genti non compiutamente soggiogate dall’edonismo occidentale. Se nelle parole pronunciate dal patriarca ortodosso Kirill sull’odierno conflitto russo-ucraino avvertiamo una nota di “fanatismo” ed esse suonano ai nostri orecchi estranee e inaccettabili è perché il nostro sistema di valori è mutato nel tempo, ispirandosi a un pragmatismo che rifugge da ogni forma di spiritualità (che non è necessariamente sinonimo di pacifismo e carità cristiana), mentre i russi mi paiono aver conservato un legame fortissimo e premoderno con la terra, le tradizioni e la Storia di cui ci sfugge l’essenza. Corsi e ricorsi: l’avventura europea di Ivan Grozny sembra precorrere la spinta verso ovest dell’URSS e persino certe decisioni attuali che ci intimoriscono e sconcertano. C’è un’inquietante continuità fra le politiche del monarca cinquecentesco e quelle portate avanti nei secoli a venire da un potere russo in costante, ma superficiale trasformazione, ed è per questo che l’autocrate comunista Stalin fa tributare un ammirato omaggio cinematografico a un antico zar di cui si reputa non a torto il continuatore. E’ proprio ai tempi di Ivan che ha luogo il primo scontro su vasta scala con i vicini – e lontanissimi – europei occidentali: l’invasione della Livonia provoca la discesa in campo di svedesi e soprattutto polacchi. Questi ultimi sono incontestabilmente un popolo slavo, ma nel capolavoro di Ėjzenštejn ci vengono rappresentati in veste di raffinati, spocchiosi e cinici damerini – di corrotti abitatori dell’altrove. Impersonano l’Occidente nemico con cui il confronto dialettico è in ultima analisi impossibile, perché modi di pensare e (come già detto) sistemi valoriali sono irriducibilmente diversi. Nel XVI secolo i polacchi vincono nettamente la partita, e all’inizio di quello successivo signoreggeranno per un paio d’anni la Russia – unici europei a riuscire nell’impresa – tuttavia Ivan IV ha plasmato quasi dal nulla una potenza che, più volte disfatta e prossima all’annichilimento, saprà sempre risollevarsi potendo contare su un’incrollabile forza morale e una propensione al sacrificio che ai nostri occhi disincantati ha dell’inverosimile (anche se ci riempiamo volentieri la bocca di termini come “resilienza”).
Questa lotta tra razionalismo europeo e irrefrenabile passionalità russa è proseguita fino ai giorni nostri, ad onta di legami culturali ed economici che si sono rinserrati nei secoli e dell’attrazione provata dagli intellettuali russofoni nei confronti del mondo mediterraneo (più che per quello nordeuropeo). Nella smisurata, piatta pianura sarmatica aleggia ancora lo spirito di Ivan il Terribile, fondatore dell’impero: un essere umano eccessivo in tutto, sia nella crudeltà che in un’idealistica dedizione alla patria. Egli ha costruito, rinnovato e massacrato senza risparmio: Pietro il Grande (che come Ivan IV uccise il proprio figlio e spazzò via un intero ceto sociale, quello degli strel’ci), Alessandro II, Stalin e chi è venuto dopo ripercorrono semplicemente le sue orme, fedeli a un’idea che giustifica forse ai loro occhi immani perdite di vite e risorse.
Non giocano alle nostre regole e concepiscono l’azzardo come una cogente necessità: il rischio è che il (non) dialogo fra sordi si risolva in una resa dei conti finale che non sarà affidata a spade e archibugi.