Arrivati a questo punto il coraggio dell’esistenza consisterebbe nell’accettare la realtà come un insieme di costrizioni che non è nostro potere cambiare, evitando di deprimerci fino all’autodistruzione. Ovvero vivere a seconda delle situazioni del momento, adattandosi senza lamentarsi. Per timore di delusioni insopportabili si diminuisce la portata delle aspettative, ottenendone inevitabilmente un generale scolorimento della vivacità della vita. Infatti, desiderare di meno non colma l’assenza di senso, né accomuna di più agli altri. Così si comincia a pensare di essere dei perdenti in un mondo che non ha posto per noi, di avere qualcosa che non và, insomma di non essere come dovremmo essere. Anche perché donne e uomini normalmente insignificanti ogni giorno ci deridono a funzionare bene, in realtà.
Questo anche il senso ultimo dei continui (e ideologici) appelli alla concordia e alla collaborazione, da Mattarella in giù. In un Paese in cui la malvagità esiste ed è madre di tutte le violenze, la stupidità è diventata arma politica e il pensiero economico unico diffonde l’ideologia di tutti contro tutti, si intima alle classi sociali dei vinti di accettare passivamente ma convintamente la propria subalternità. Niente di nuovo: “l’esercizio del potere non poteva più essere assicurato che da una larga depoliticizzazione della popolazione dell’impero” (decadenza di Roma). Perseguire i propri interessi, consumi e divertimenti sembra allora essere la nostra unica libertà. Ma questa corsa apparentemente irreversibile si è già schiantata contro il muro della disillusione. Immunizzati progressivamente da ogni collera e rivolta, siamo malati d’indifferenza e rassegnazione. E anche di paura (preoccupazione, ansia), a questo punto di tutto.
L’anamnesi è invece cristallina: siamo impotenti. Giovani annichiliti dalla disoccupazione. Tempo determinato, part-time e salari/stipendi da fame. Poveri, lavorando tutti i giorni. Lavoratori e pensionati perdono soldi per il mancato recupero d’inflazione (scelta politica degli stessi che per consenso avevano moltiplicato i baby-pensionati), l’enorme debito pubblico non è un problema quando si tratta di sostenere gli evasori fiscali (ma diventa insostenibile se serve ai meno abbienti), invece di politiche fiscali, patrimoniali e di ridistribuzione della ricchezza si favoriscono i già privilegiati (come se la maggior parte degli italiani lo fosse). Basta leggere, studiare, pensare, parlare e perfino scrivere. Vogliamo agire, abbiamo un bisogno vitale, prima ancora che sociale e politico, di agire. Ma ancora impotenti. Ci manca lo strumento, una vera organizzazione politica capace di politica, del coraggio di gridare la realtà e di finalmente agire.