Il 2023 si è aperto con un nuovo rilancio, da parte occidentale, dell’escalation militare nel confronto con la Federazione russa. Il Parlamento italiano ha votato a favore del sesto atto per l’invio di materiale bellico a Kiev.
Se non altro, dovrebbe risultare ancora una volta più nitido che dal centro dell’impero – gli USA – non si mira nel breve termine a una trattativa di pace che possa porre termine al conflitto in Ucraina.
Vinte le resistenze tedesche riguardanti l’approvvigionamento di carri armati Leopard–2 a Zelens’kyj e approvati nuovi provvedimenti di ‘aiuti’ finanziari e militari da immettere nel ‘pozzo senza fondo’ ucraino, restano pochi dubbi sul fatto che laddove la nostra classe dirigente parla di ‘pace’, il termine va decodificato come ‘sconfitta, ritiro incondizionato dei russi e integrazione dell’Ucraina nell’ambito di influenza occidentale’.
Si alimenta una continua ‘escalation’ ma la si definisce ricerca della ‘pace giusta’.
D’altronde, fin dal 24 febbraio del 2022 ambiguità e simulazioni semantiche sono parte integrante del racconto sulla guerra che il nostro sistema comunicativo ha avuto cura di propalare.
Il nostro apparato mediatico, riflettendo la posizione politico – culturale prevalente, ha continuamente alimentato ad arte un’interpretazione dell’evento bellico nell’est–Europa tale da trascinare l’opinione pubblica verso una presa di posizione acritica e assolutamente faziosa. Sono stati artificiosamente delineati due campi: quello dei probi democratici filoatlantisti e quello degli esecrabili filoputiniani. Chi, in questi mesi, ha cercato di riconoscere il contrasto di interessi geopolitici al fondo del conflitto, è stato condannato – per direttissima – a far parte del campo dei simpatizzanti del potere russo e, più in generale, di regimi dittatoriali.
Siamo stati portati a trasferire sul piano del tifo da stadio quelli che dovrebbero essere tentativi di operare una fredda analisi geopolitica.
Se si fosse seguita la seconda strada, non sarebbe risultato così difficile – anche per il cittadino medio – raffigurare un quadro dello scenario quantomeno realistico e magari, contribuire alla formazione di un movimento di massa propenso a una trattativa con Mosca. Chissà, forse si sarebbe inverato qualche presupposto per cercare di influire sulla posizione internazionale – assolutamente supina rispetto ai voleri di Biden – del nostro governo.
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Abbiamo sentito ripetere fino alla nausea il motivo del Paese ucraino aggredito dall’aggressore russo, facendoci bastare a giustificazione della nostra presa di posizione il fatto che la prima mossa sia stata attuata da parte di Putin. Abbiamo stranamente scordato di non avere seguito lo stesso criterio argomentativo ogniqualvolta sono stati gli USA e la NATO ad aggredire altri Paesi. (Nel 2003, per fare un solo esempio, avremmo dovuto spendere somme ingenti e inviare armamenti a favore dell’Iraq; invece, non l’abbiamo fatto).
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In generale, ci siamo rifiutati di vedere la posta in gioco del conflitto in Ucraina: il consolidamento dell’ordine neoliberale internazionale nel cui ambito gli USA e il loro braccio armato, la NATO, dispongono di un’assoluta primazia, puntando a preservarla più a lungo possibile. Le leve di comando situate al centro dell’impero non gradiscono che vi siano Paesi inclini a non accettare la loro influenza. Peggio ancora se ambiscano a percorsi di sviluppo autonomo.
L’invasione dell’Ucraina ordinata da Putin è l’estremo atto di insubordinazione davanti al piano occidentale di schierare le basi della NATO lungo una nuova ‘cortina di ferro’, da dispiegare lungo una linea che, partendo dai Paesi baltici, finisce per giungere alla Georgia, nel Caucaso.
Naturalmente, la NATO dovrebbe costituire la garanzia circa la salda ‘presa’ del fronte occidentale sull’est europeo. La nostra tracotanza, guidata dagli interessi economici delle nostre elites, ci sta conducendo al punto di voler a ogni costo acquisire nella nostra sfera di influenza tutti gli stati facenti parte, solo 30 annni orsono, dell’orbita sovietica.
Ciò porta, negli intenti della presidenza americana, a voler indebolire e magari relegare al ruolo di vassalli sottomessi i Paesi che, per varie ragioni, non gradiscono l’ordine unipolare ‘yankee’ e si mostrano riluttanti ad accoglierne ‘i valori’ e, soprattutto, i concreti interessi.
Pretermettendo completamente il dato che l’Ucraina non è membro ufficiale della NATO nè dell’Unione europea – il che implica l’assenza di un fondamento giuridico per la nostra cobelligeranza –, il nostro apparato propagandistico ha avuto sin dal principio – e tuttora ha bisogno – di uno o più richiami assiologici per convincere l’opinione pubblica in ordine alla bontà della postura occidentale nei confronti della Russia.
Così, la Russia viene dipinta come una feroce dittatura ammantata di integralismo cristiano-ortodosso, con nostalgiche velleità imperiali.
Di converso, l’Ucraina è illustrata quale sacro tempio di democrazia liberale, la cui sovranità è stata violata in nome di un espansionismo russo che si arresterà soltanto quando tutta l’Europa sarà stata piegata. (Quante volte è stato ripetuto: gli Ucraini combattono per la nostra libertà!).
Quindi la crisi diplomatica con gli USA che ha messo alle corde il Cremlino, sfociando nell’invasione cominciata il 24 febbraio dello scorso anno, è stata presentata come una minaccia mossa all’intero fronte occidentale, nonché al suo sistema liberaldemocratico.
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Ma la realtà fattuale è ben altra: la Russia ha sempre agito in un’ottica di reazione agli avanzamenti verso est, cioè verso i suoi confini, della NATO.
Se il programma dei Paesi NATO, già delineato al vertice di Bucarest nel 2008, dovesse trovare completa attuazione, se cioè dopo la conquista dell’Ucraina da parte occidentale si passasse alla Georgia, resterebbe da acquisire soltanto la Bielorussia.
E non è in fondo mai stato così difficile immaginare quale sarebbe potuta essere la reazione del Presidente russo alle provocazioni occidentali.
Nel 2007, al vertice sulla Sicurezza Internazionale tenuto a Monaco, Putin aveva mosso puntute critiche all’approccio unilaterale americano nelle relazioni internazionali. Aveva collegato tale approccio a un generale problema democratico, rilevando anche che gli Stati Uniti fanno uso della forza a loro piacimento e il diritto internazionale è appiattito sulle convenienze di un solo stato.
Aveva infine incitato al dialogo per addivenire a un sistema di sicurezza globale basato su un equilibrio ragionevole. Memorabile la domanda: contro chi è diretta l’espansione a est della Nato? (1).
Nel 2008, invitato in qualità di osservatore al vertice NATO di Bucarest, aveva ribadito e messo in chiaro che la continua espansione verso est della Nato rappresenta una seria minaccia per la Russia (2). A quello stesso vertice, i Paesi della NATO avevano stabilito di invitare la Georgia e l’Ucraina a fare ingresso nell’organizzazione atlantica. Nell’agosto del medesimo anno, la Russia ha lanciato una campagna militare di qualche giorno contro la Georgia.
Nel 2014, dopo il colpo di stato in Ucraina orchestrato dagli USA – con Biden vicepresidente – per defenestrare il Presidente eletto Janukovyč e insediare al suo posto un governo filoamericano (3), Putin si è precipitosamente cautelato, annettendo la Crimea. Ciò perchè grazie a precedenti accordi con l’Ucraina, nella strategica Sebastopoli, in Crimea, è di stanza la flotta russa; inoltre, salta agli occhi che la nuova ‘cortina di ferro’, dal Baltico alla Georgia, con la Crimea appannaggio della NATO, taglierebbe fuori la Russia dall’accesso al Mar Nero.
Ma nel corso del 2021 la NATO ha eseguito ben tre esercitazioni militari nel Mar Nero e il Presidente Zelens’kyj (eletto nel 2019), aveva pubblicamente dichiarato l’intenzione ucraina di riprendere la Crimea.
Se tanto più tanto mi dà tanto…
Tutto ciò considerato e ricordando l’impegno degli USA – assunto nel 1991 al Cremlino – di non portare la NATO oltre la Germania orientale, dovrebbe apparirebbe palese ed essere riconosciuto da qualunque osservatore obiettivo che degli occidentali non ci si può proprio fidare.
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Soltanto coloro che si ostinano a ignorare la realtà fattuale non ammettono che l’intervento russo in Ucraina è stato adeguatamente provocato da noi occidentali. Che l’oggetto della contesa fosse la neutralità dell’Ucraina è stato ultimamente confermato, forse ingenuamente, dal penultimo premier britannico Boris Johnson. In una intervista alla BBC, Johnson ha detto che poco prima dell’invasione dell’Ucraina – avvenuta a fine febbraio 2022 – Putin lo avrebbe minacciato di lanciare un missile in Gran Bretagna. Da buoni propagandisti di regime i nostri media si sono concentrati su questa presunta ferale minaccia, (peraltro smentita da parte di Mosca), ma hanno lasciato sullo sfondo il seguente tragicomico scambio di battutte. Putin chiese: Boris, tu dici che l’Ucraina non entrerà nella NATO ‘a breve’. Cos’è ‘a breve’?; al che Johnson rispose: Beh, non entrerà nella NATO per il prevedibile futuro, e tu lo sai molto bene. (4)
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Ebbro del successo conseguito alla fine della Guerra fredda, è stato il fronte occidentale a guida americana a espandersi ovunque ha potuto. Non è certo stata la Russia a farlo. (Tanto più che l’enorme stato eurasiatico non può essere classificato come una potenza in ascesa. Non lo è sul piano economico, nè su quello demografico).
Nell’ordine internazionale neoliberale gli Usa governano tutte le istituzioni globali – sulla carta, multilaterali – .
All’interno di questo ordine agiscono, intrecciandosi e mutualmente rafforzandosi, potere economico, potere politico internazionale e potere militare. La moneta americana, il dollaro, è la maggior valuta di riserva internazionale, conferendo allo stato che la emette ciò che Valery Giscard d’Estaing definì il ‘privilegio esorbitante’. Il potere economico riposa sul volume dell’economia americana, sulla tecnologia, sul grado di coinvolgimento delle multinazionali all’estero e sull’ampiezza del mercato finanziario, le cui propaggini avvolgono buona parte del mondo. La Banca centrale americana può permettersi di condizionare il complesso e interrelato sistema finanziario mondiale. Una sua mossa di politica monetaria esercita un influsso mai trascurabile sugli altri Paesi, siano essi più o meno legati al dollaro.
Il potere politico si basa sulla capacità di stringere una serie di alleanze e, all’occorrenza, condizionare – con le buone o con le cattive – il corso politico degli stati alleati.
Gli USA dominano dall’interno tutte le istituzioni dell’ordine liberale: l’alleanza militare NATO, l’Onu, il Fondo monetario internazionale, la Banca mondiale, l’Ocse – l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, l’Organizzazione mondiale del commercio, la Banca per i Regolamenti internazionali. Gli USA hanno circa 750 basi militari, sparse in 80 diversi paesi del mondo. (Detto per inciso: uno sguardo a una cartina del Mar Cinese meridionale che riporti le installazioni militari americane aiuta a capire l’odierno stato di tensione fra le due attuali superpotenze). Le sue spese militari (800 miliardi di $ nel 2021), sono di un ammontare che supera quello dei dieci paesi che seguono in tale speciale classifica. Il secondo Paese, la Cina, segue con una spesa di 293 miliardi di $.
Dato lo scenario, dovrebbe sorprendere se tutti i 208 paesi del mondo assecondassero supinamente questa situazione. (Invece manifestiamo la tendenza a restare sorpresi del contrario). Tanto più che i maggiori benefici di essa convergono immancabilmente verso il centro egemone del sistema.
Per mantenere inalterato e inscalfito questo immenso potere, occorre che l’egemone sia considerato benevolo, che non disperda credibilità, fiducia e capitale politico. Un’impresa titanica. Specie se il richiamo a valori supremi che si acclamano come ‘superiori’ – democrazia, diritti, ripudio della violenza – ha luogo a seconda delle necessità e degli scopi che il centro dell’impero di volta in volta si prefigge.
Un sincero democratico dovrebbe chiedersi se tutti i paesi del mondo debbano accettare di buon grado questa situazione generale o se alcuni di essi possano pensare di ritagliarsi nello scenario internazionale uno spazio proprio, con politiche indipendenti proprie.
Dovrebbe anche chiedersi se un paese come la Russia, finito negli anni ’90 sotto l’ala protettrice americana e dopo la disastrosa cura da cavallo somministratagli, debba apprezzare tale ordine internazionale, che è basato sull’ideologia e sugli interessi del centro egemone. Un centro che non ha mai esitato, per il perseguimento dei propri interessi, a fare ricorso alla guerra violando il divieto dell’uso della forza imposto dalle Nazioni Unite e a ordire e attuare trame per rovesciare governi invisi o poco addomesticabili. (5)
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Ma oltre a mancare l’individuazione del nucleo della posta in gioco, i nostri canali di comunicazione mancano l’obiettivo anche quando, per trovare un fondamento ideale alla propaganda antirussa, si appellano alle seguenti giustificazioni:
– l’Ucraina è uno stato democratico e sovrano e il popolo ha scelto di stare dalla parte dell’occidente;
– Putin rigetta le nostre proposte di pace, quindi è la Russia che vuole la prosecuzione delle ostilità.
Ebbene, Zelens’kyj è un attore prestato alla politica. E’ divenuto famoso grazie a una serie televisiva, sotto la tutela di uno dei più importanti magnati ucraini. Il popolo lo ha sì eletto, ma appare piuttosto approssimativo poter riferirsi all’Ucraina come a una vera democrazia.
La nostra ‘sinistra di governo’, oggi più che mai favorevole alla nostra partecipazione (per ora) indiretta alla guerra, ha dimenticato che per svariati anni essa si è strappata le vesti a fronte dell’uso spregiudicato del mezzo televisivo – per fini politici – da parte di Berlusconi.
L’Ucraina è una oligarchia, piò o meno come la Russia e più o meno – anche se in forma differente – come il nostro Paese.
E’ azzardato affermare che il popolo ha sovranamente scelto di entrare nell’ambito occidentale, cioè nell’Unione Europea e della NATO. Non solo si tratta di una scelta effettuata da ristrette elites, ma tale affermazione trascura che il popolo stanziato in Ucraina è diviso fra la parte stanziata nella parte occidentale – che storicamente ha subito l’influenza mitteleuropea – e le regioni orientali, storicamente filorusse. Non a caso i flussi elettorali hanno rispecchiato sistematicamente questo dualismo.
E’ stato dopo il ripetuto fallimento degli accordi di Minsk (6) che, il 21 febbraio 2022, Putin ha riconosciuto l’indipendenza dei territori separatisti filorussi di Doneck e Lugansk e alcuni giorni dopo, il 24 Febbraio 2022, ha dato avvio all’invasione.
Uno sguardo ampio, realistico e smagato della situazione obbligherebbe inoltre a prendere atto di quanto sia chimerico parlare di una genuina sovranità ucraina.
Esistono potenze egemoni e stati satelliti: l’Italia, ad esempio, non è un Paese pienamente sovrano. Avendo fatto ingresso nell’ambito americano – occidentale già alla fine della Seconda Guerra mondiale, non può nemmeno sognarsi di lasciare impunemente la NATO o recidere i rapporti commerciali con gli USA. Soltanto un evento traumatico, come una guerra, può consentire l’abbandono di una sfera di influenza. (Esattamente quello a cui assistiamo in Ucraina).
Conseguenza inintenzionale delle nostre azioni o meno, l’Ucraina ha comunque perso, ora più che mai, qualsivoglia sovranità residua. Ciò vale anche per il prossimo futuro. Una volta effettuata la conquista occidentale, non si intravede in quale modo il Paese potrà saldare il conto – sia in termini materiali che di riconoscenza – verso l’attuale schieramento antirusso, se non cedendo in concessione a banche e grossi investitori occidentali lo sfruttamento delle sue risorse e attività.
Alcuni commentatori si spingono ad affermare che se un Paese terzo mira a raggiungere la sfera di influenza occidentale, ciò avviene perché il modello europeo – americano è attrattivo in termini di benessere. Si tratta di un argomento con qualche fondamento (ad es.: si pensi all’accesso a un ampio mercato finanziario o alla promessa di protezione da parte dell’egemone) ma dal quale affiorano anche diverse criticità. I paesi entrati nel mercato europeo – occidentale liberista non mostrano particolari segni di benessere diffuso. Ribadiamo poi che si tratta comunque di scelte delle elites dominanti, e che in cambio della ‘cattura’ è facile promettere vantaggi e una carriera politica folgorante a personaggi come Zelens’kyj. (Anche compagnie russe come Gazprom hanno in passato accolto importanti esponenti politici occidentali, facendoli accomodare in posizioni di rilievo).
L’aspetto preponderante della questione è che la conquista occidentale dell’Ucraina prospetta buoni affari al settore finanziario e alle multinazionali occidentali (manodopera a basso costo, risorse naturali, delocalizzazioni). Paradossalmente, il futuro dell’Ucraina ‘occidentalizzata’ è contrassegnato da una ingombrante ipoteca. È molto improbabile che sarà il popolo ucraino il maggior beneficiario degli effetti di tale ipoteca.
Quanto all’adddossamento al solo Putin della responsabilità riguardo alla continuazione della guerra, i nostri canali televisivi e i giornali affini raggiungono davvero vette di ipocrisia
difficilmente immaginabili, tanto ridicolo è l’argomento. Il concetto è che non si può addivenire a una trattativa senza previo e completo ritiro russo. Infatti, sinora sono state inoltrate a Putin soltanto richieste di ritrarsi in Russia. Ora, chiunque sia dotato di un minimo di senso del reale coglie la ridicolaggine di una simile proposizione. Nessun capo di stato dà il via a un conflitto – che implica spese miliardarie e costa innumerevoli vite umane – per celia o per interessi superficiali.
L’invasione dell’Ucraina è cominciata proprio perché è mancata, a livello diplomatico, l’indispensabile sintonia con la controparte americana. Biden ha semplicemente disdegnato le preoccupazioni e gli interessi russi nella regione oggi teatro delle ostilità. Si inizia una guerra proprio perché due o più interessi antagonisti non trovano appianamento sul piano delle relazioni diplomatiche. A quel punto si inizia la guerra per cercare di porre l’avversario dinanzi ‘al fatto compiuto’ e obbligarlo a riconoscere gli interessi prima disconosciuti. Se Putin si ritirasse ora, si candiderebbe senz’altro all’ipotetico premio di ‘presidente più idiota del secolo’. Su quali basi si svolgerebbe la trattativa dopo il completo ritiro dei russi dalle posizioni acquisite? Una trattativa che dovrebbe tenersi, fra l’altro, con gli stessi interlocutori che prima del conflitto non hanno voluto ascoltare né riconoscere alcunché.
Comunque, e soprattutto, dopo il 24 febbraio 2022 gli USA e la NATO hanno sempre rilanciato la continuazione delle ostilità. Negoziatori russi hanno rivelato che gli americani hanno impedito a una delegazione ucraina di accettare una bozza di accordo (7).
In seguito, Zelens’kyj è arrivato persino a far approvare un incredibile decreto che proibisce a se stesso di trattare la pace con Putin.
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Certo, l’atto di aggressione russo all’Ucraina ci ha impressionato e ci ha chiamato a una doverosa solidarietà verso i profughi. Ma ha anche costituito un crudo richiamo alla realtà, che i nostri giornali a maggiore diffusione hanno omesso.
Perchè la realtà è che i governi – tutti i governi – sono sempre motivati da questioni di sicurezza nazionale, da interessi nazionalistici e da ragioni economiche.
Si potrebbe sostenere che nessuno minacciava di occupare Mosca, che cioè la percezione russa della costante espansione a est della NATO è distorta, ma la realtà dei rapporti internazionali è diversa.
Nessun Paese è mai completamente isolato. Ciascuno di essi è collocato in un contesto internazionale. In tale contesto nessuno conosce le intenzioni altrui né è in grado di prevederne le mosse future. I rapporti internazionali sono mutevoli nel tempo, a seconda dell’evoluzione delle circostanze. In ogni caso, nessuno gradirà mai la presenza di basi e installazioni militari straniere ai propri confini. (Ciò vale, in primo luogo, per gli USA; si ponga mente alla crisi di Cuba del 1962).
Vi è poi il fattore del nazionalismo e delle minoranze etniche, popolazioni di lingua e cultura
diversa che si ritrovano entro i confini di un Paese del quale non sentono di far parte. Spesso accade che, in esito a trattative politiche, le frontiere vengano tracciate ‘arbitrariamente’ su una carta geografica. Ma altrettanto spesso ne seguono dissidi che si protraggono a lungo. (Il riferimento è ovviamente, in questo caso, al Donbass e alla Crimea). E vi è poi il fattore degli interessi materiali ed economici.
L’Ucraina è un territorio ricco di risorse naturali nonché una cerniera strategica fra l’Europa e l’Asia. La parte a Sud costituisce inoltre un importante sbocco regionale sul Mar Nero. (Non per nulla, nel 2014 la Russia ha rivendicato, come anzidetto, il possesso della Crimea). L’ingresso dell’Ucraina nel mercato europeo occidentale è piuttosto allettante per le imprese del blocco atlantico. Per le stesse simmetriche ragioni la Russia non intende passivamente subirne la sottrazione dalla propria sfera di influenza.
L’Ucraina si accingeva, in effetti, a entrare definitivamente nella sfera di influenza degli USA e della NATO. Un evento, lo si rammenti, inaccettabile per la Russia. Sul piano diplomatico, forse le parti in causa avrebbero potuto fare di più per evitare che la situazione degenerasse al punto conclamato il 24 febbraio. Sfortunatamente, ciò non è successo. Biden ha sussiegosamente ignorato le reiterate richieste di garanzia circa la neutralità ucraina rivoltegli da Putin.
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Gli Usa e i suoi satelliti europei sperano ora in una vittoria degli Ucraini per mettere definitivamente nell’angolo il Kremlino, magari rovesciarne la sua presidenza e condannare la Russia all’irrilevanza futura. Così, continuano ad armare e finanziare Kiev, come fanno da molti anni. Ma se anche l’intento degli Usa dovesse andare a segno – se, cioè, gli Ucraini vinceranno la guerra e la Russia si ritirerà dalla scena bellica senza alcuna contropartita – la vicenda ucraina potrebbe essere soltanto il primo di una serie di movimenti tellurici nella scena geopolitica.
L’era dell’unica superpotenza che detta legge al resto del mondo e cerca di plasmarlo a sua immagine è comunque in discussione. L’ordine internazionale del quale i nostri media si ostinano ipocritamente a tessere le lodi ha deluso le aspettative che, forse, erano state alimentate ad arte.
L’hybris occidentale non ha mai comportato pace né prosperità economica condivisa.
Resta da scoprire come i nostri apparati mediatici si ‘adatteranno’ al clima che si formerà una volta che saranno pervenuti nuovi ordini dalla Casa Bianca. Sia se si tratterà di una pace provvisoria, per poter meglio affilare le armi in vista dello scontro decisivo, sia se si tratterà dell’invio di nostri contingenti destinati a calcare il terreno del fronte di guerra.
Di certo lo faranno con la loro rodata e sottile ipocrisia.
Si tratta in fondo della nuova normalità, in un Paese nel quale la Costituzione si cita ma non si applica.
1) https://www.youtube.com/watch?v=Um9rHbYKyT4
2) http://en.kremlin.ru/events/president/transcripts/24903
3) Daniele Ganser – Le guerre illegali della Nato, cap. 15
4)https://www.msn.com/it-it/notizie/mondo/boris-johnson-e-la-minaccia-di-putin-mi-disse-con-un-missile-mi-ci-vorrebbe-un-minuto-cremlino-una-menzogna/ar-AA16SX7t
5) cambi di regime organizzati o sostenuti dagli USA (riusciti o solo tentati): Iran 1953, Guatemala 1954, Cuba 1961, Repubblica Domenicana 1961, Congo 1961, Sud Vietnam 1963, Indonesia 1965, Cile 1973, Nicaragua 1981, Panama 1989, Libia e Siria 2011, Ucraina 2014, Venezuela 2018.
6) https://www.puntocriticoblog.it/3790/la-soluzione-passa-dalla-politica-non-dalle-armi/
7) Rai3 – Presa diretta, 10/10/2022