Enrico Mattei e Adriano Olivetti. Oggi potrebbero esistere questi due personaggi straordinari? Ovvero: in questa epoca sarebbe pensabile l’esistenza, anche politica, oltre che economica, di queste due figure anomale della vicenda storica italiana? Ripercorriamo per sommi capi le due biografie. Il primo, Mattei, prima della guerra fonda una piccola azienda chimica e prende parte alla Resistenza nelle file dei partigiani cattolici, arrivando ai vertici del Clnai, per poi, alla fine del conflitto, nel 1945, essere nominato commissario liquidatore dell’Agip.
Azienda statale che si guarda bene dal liquidare, disattendendo così il mandato governativo, e il malcelato desiderio dei nuovi alleati americani, ridandole, al contrario, un rinnovato impulso e un nuovo senso economico nell’Italia da rimettere in piedi, anche dal punto di vista energetico, nel concerto delle nazioni uscite dalla guerra, tanto che dalla scoperta del giacimento di gas naturale a Ripalta, nel 1948, al successo della perforazione a Cortemaggiore, che rivelò la possibilità di estrarre petrolio, nel 1949, inizia un decennio di successi, pur tra alterne fortune, imprenditoriali e politici.
L’Agip non viene più archiviata e, anzi, Mattei riceve dal governo democristiano dell’epoca, quello di De Gasperi, carta bianca per andare avanti, deludendo sia i, pochi, per fortuna, tipo il santificato Don Sturzo, liberisti nostrani che vedevano nella mano pubblica nella gestione degli idrocarburi una indebita ingerenza statale in prassi che dovevano essere riservate al privato, meglio se a stelle e strisce, sia gli ingombranti alleati americani che volevano un’economia italiana a debole partecipazione statale, per poter dare mano libera alle proprie imprese.
Grazie alla costanza di Mattei, alla sua spregiudicatezza e abilità politica, oltre che ad un uso disinvolto delle relazioni con i poteri che contano, compreso un addomesticato quarto potere, le prospezioni fortunate nella Pianura Padana che hanno portato alla scoperta di giacimenti di gas naturale e petrolio, pur se in quantitativi modesti per le esigenze di una Italia in impetuosa crescita economica, consentono al sempre più noto e rispettato, otre che temuto, ex partigiano bianco di mettere in pista la sua grande idea: l’Eni.
Ovvero un grande ente capace di coordinare e centralizzare in una visione coerente e complessa le politiche energetiche del paese, un soggetto economico pubblico in grado non solo di predominare sul suolo italiano ma di proiettarsi, e in controluce la nazione intera, sugli scenari globali di un mondo capitalista, a trazione statunitense, in competizione con l’universo comunista, guidato dal gigante sovietico, permettendosi, ad un certo punto, addirittura il lusso di giocare un ruolo autonomo.
Un capolavoro diplomatico, economico, tecnico-scientifico, fatto che spesso si dimentica facilmente, e, soprattutto, politico, nel senso soprattutto di quella che oggi si definisce geostrategia. Mattei, dal 1953, anno della fondazione dell’Eni, grazie all’apporto decisivo di De Gasperi e Vanoni, alla sua tragica scomparsa nel 1962, sui cieli di Bascapè, si identifica totalmente con la sua creatura, in una Italia democristiana che ha un bisogno vitale di aumentare l’approvvigionamento energetico.
A questo scopo Mattei dedicò l’esistenza, non curandosi delle critiche che gli piovevano addosso, spesso interessate, di utilizzare il mondo politico, i partiti visti come “taxi”, ai suoi fini che, per un lungo tratto, coincisero con quelli dell’Italia, e riuscendo ad incidere anche nel panorama dell’influenza editoriale con la fondazione del Giorno, esperienza giornalistica di grande qualità, palestra di giornalisti di razza.
Giornali e giornalisti gli servivano anche per un fine molto preciso, apparentemente prosaico, in realtà decisivo per la caratura strategica delle sue ambizioni: le scoperte di giacimenti di gas naturale e di petrolio nella Pianura Padana non consentivano l’estrazione di quantità apprezzabili di materia prima, ma erano funzionali alla creazione di un clima favorvole, anche propagandistico, alla possibilità che la mano pubblica continuasse a detenere il controllo degli idrocarburi, scongiurando influenze esterne, e straniere, che Mattei combattè fino all’ultimo.
Mattei, data la scarsa quantità di gas e petrolio estratto dal suolo patrio, decide di fare il grande salto: l’approccio ai produttori esteri, in particolare i paesi del Medio Oriente, alcuni dei quali stanno attraversando la fase travagliata della decolonizzazione, mediante accordi equi e non capestro, come avviene a favore del gigante americano e dei suoi alleati occidentali, con la mano operativa delle famose “sette sorelle”, come le definì Mattei, le grandi corporations estrattive che vennero infastidite a tal punto dall’attivismo del presidente dell’Eni, oramai il vero ministro degli Esteri dell’Italia, da individuare nella sua persona il nemico pubblico numero uno. Egitto, Iran, Libia, Algeria, Marocco, Tunisia, diventano i bersagli della sua infaticabile azione politico-diplomatica, geniale nell’offrire l’immagine di una Italia “amica”, non sfruttatrice, in grado di costruire accordi paritari con i paesi emergenti, quasi come se potesse riservarsi una zona terza, autonoma, nel mondo duro e spietato della Guerra Fredda.
Tanto da osare l’inosabile: l’acquisto di grandi quantità di petrolio, mediante un accordo costruito anche grazie ai buoni uffici del Pci, dall’Urss, mossa che il Dipartimento di Stato stigmatizzò duramente. A questo punto il destino dell’uomo più potente d’Italia è segnato, Mattei muore in uno strano incidente aereo a Bascapè, nel pavese, evento traumatico, oggetto di decenni di inchieste giudiziario-giornalistiche, che ferma la frenetica attività di un uomo che si era dato una missione storica: rendere non solo l’Italia autosufficiente dal punto di vista energetico, ma dotarla di una capacità politica e di una influenza strategica che non avrebbe mai potuto avere senza mettere l’approvvigionamento delle materie prime al primo posto. Un grande imprenditore pubblico e un gigante politico, un visionario e un elaboratore di complesse trame diplomatiche, fuori dalla portata di gran parte del mondo politico dell’epoca, ingabbiato in un partito-stato che copriva con la sua funzione anticomunista le manchevolezze storiche del paese.