Il 21 ottobre 1962 (pochi giorni prima dell’ultimo viaggio in Sicilia, dove Mattei avrebbe inaugurato uno stabilimento industriale a Gagliano Castelferrato), l’Eni e la Standard Oil-Esso siglarono un’importante intesa commerciale. (Essa venne poi portata a compimento l’anno seguente da parte di Eugenio Cefis, il successore di Mattei). Vi era poi, in previsione, un accordo multilaterale fra Italia, Francia, Germania e USA per la realizzazione di un rete di oleodotti e impianti di raffinazione. Un disegno in chiave europea, che avrebbe portato il greggio nel continente – dal Medio Oriente – via Mediterraneo.
A febbraio dello stesso anno, a Roma, alla Conferenza dell’associazione della stampa estera, il Presidente dell’Eni si era espresso così: “Abbiamo possibilità di sviluppo, di poter cancellare l’immagine di un’Italia povera. Abbiamo la possibilità di offrire ai paesi depressi la nostra organizzazione industriale, agendo in collaborazione. Pensiamo che anche in Occidente sia necessaria la collaborazione. E non, come molte volte avviene, una guerra senza quartiere e senza esclusione di colpi”.
Enrico Mattei è stato un democristiano atipico e, per molti, una figura controversa. Di lui molto si è discusso e si continuerà a discutere, soprattutto riguardo alle circostanze nelle quali è venuto a mancare. Ma un dato si staglia su tutto il resto: egli – che sul piano personale guadagnava meno dei suoi dirigenti – a tutto era disposto pur di agevolare e promuovere lo sviluppo post-bellico dell’Italia. Il suo nazionalismo economico, la sua spregiudicatezza gestionale, i “contributi’ alla politica” (non che la Confindustria fosse da meno!), la sua “politica estera” – con le aperture ai paesi non allineati e all’URSS – puntavano a un solo fine: porre le basi del lancio industriale dell’Italia, per estirpare la piaga della povertà e far entrare il paese nel novero dei paesi moderni ed evoluti. (Ciò che poi è avvenuto con “il miracolo economico”).
Nonostante la materia prima petrolifera costituisca tuttora la principale risorsa energetica mondiale, sia ancora origine di contese nonché un’arma “geopolitica”, si sta opportunamente facendo strada la consapevolezza di politiche orientate alla sostenibilità ambientale. (Di passaggio a fonti di energia alternative si tratta, in verità, da almeno 40 anni). Non sappiamo con quanta speditezza avrà luogo una piena transizione ecologica. Neanche sappiamo se l’economia dei prossimi decenni sarà energivora quanto quella attuale. (Si parla molto di economia ad alto contenuto di tecnologie e servizi digitali). E poi, il contesto di azione attuale non è più quello della guerra fredda. Tuttavia, la vicenda umana e manageriale di Mattei può ancora fungerci da guida. Non abbiamo forse assistito al ritorno di un allarmante livello della povertà? Non dobbiamo fare i conti con i colossi multinazionali dell’high tech, i quali riescono a non pagare le imposte nella misura che sarebbe opportuna per contribuire a un decoroso “stato sociale”?
Molti paesi “emergenti” non sono tuttora avviluppati nel problema della bassa crescita, soffrendo le doglie di un’evoluzione senza mai fine? Ecco, Enrico Mattei avrebbe detto che le soluzioni ai problemi che coinvolgono settori economici strategici, beni pubblici e interessi generali, non dovrebbero mai essere lasciate alle forze del mercato, ove dominano le brame e gli egoismi privati. Un assioma che l’intero ceto politico attuale, distratto in “riforme” che nulla di sostanziale riformano, dovrebbe considerare. Speriamo che la crisi provocata dalla pandemia di Coronavirus, la quale tanti miti “ortodossi” fino all’altro ieri erano reputati quali verità apodittiche sta facendo vacillare, induca a un ripensamento.