Ancora tu…

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SILVIO BERLUSCONI ESCE DALL'OSPEDALE SAN RAFFAELE DOPO RICOVERO PER COVID

A 28 anni dal fatidico 1994 dobbiamo registrare un dato politico purtroppo netto e tangibile: Berlusconi è indispensabile per il varo politico del governo Meloni, ennesima puntata della destra al governo del paese. Nonostante tre decenni di disastri, scandali a non finire, malgoverno, figuracce internazionali, condanne, una concezione proprietaria delle istituzioni che lo avrebbe allontanato dal potere in qualsiasi altro paese mediamente liberaldemocratico, un disprezzo per la libera stampa e per il bilanciamento dei poteri che non ha eguali nell’Occidente industrializzato, Lui, Silvio I da Arcore, è ancora il sovrano del centrodestra. Il regista indispensabile, il perno intorno al quale ruota il meccanismo oliato del centrodestra tramutatosi in destracentro nella sua nuova incarnazione meloniana.

Niente, senza di lui, a quasi tre decenni dall’infausta discesa in campo, in quella landa politica non si muove foglia che lui non voglia, se dovesse decidere potrebbe bloccare l’ascesa della Meloni, certo, non lo farà, ma il segnale è chiarissimo, sia per la partenza che per il prosieguo di una esperienza parlamentare e di governo che si annuncia perigliosa e irta di ostacoli. Nel Pravy Sektor della politica italiana è ancora lui che dà le carte, certo, non è più quello del ’94, o del 2008, ma il suo 8% è ancora solido e un tesoretto indispensabile per qualunque avventura politica a destra.

Il punto è che questa volta, mentre agli esordi fece da federatore tra il postfascismo italiano in cerca di legittimazione con il parasecessionismo leghista, con lui al centro a fare da punto di regolazione, per poi esercitare il comando politico indiscusso fino al 2011, sia all’opposizione che al governo, deve dare il via ad una esperienza di governo che vede in pole position la destra più identitaria, più reazionaria, erede diretta, al di là delle formule di rito, del vecchio almirantismo missino, in sintesi: per la prima volta, dopo il 1945, avremmo una erede della vicenda del neofascismo italiano a presiedere il governo del paese. Un assaggio lo abbiamo avuto nella notte dei risultati elettorali, quando, dopo aver acclarato il successo, la Meloni ha parlato chiaramente di una esultanza per la vittoria “anche per quelli che oggi non ci sono”, un riferimento trasparente ai suoi predecessori politici e ideologici.

Certo, dopo ha annegato il richiamo identitario nella formula della “responsabilità” draghiana da applicare alla gravità del momento, ha parlato da brava atlantista-europeista che vuole compiacere le cancellerie europee, ma la soddisfazione per un evento che non si vedeva dal 1945 c’era tutto. Questo è, e al di là del fatto che pochi, quasi nessuno, credono in una involuzione autoritaria dell’Italia, il governo a guida Meloni, a trazione FdI, è indubbiamente una pagina inquietante della nostra storia, e Berlusconi è ancora un attore tra i principali che ne deciderà le sorti.