Non tutti gli uomini sono ignoranti come i maschilisti, qualcuno anche di più. Così scrive Lorenzo Gasparrini nella sua rubrica in rete. Blogger, scrittore e molte altre cose ancora, da diversi anni intesse acute riflessioni in una forma di sapere a rete che nell’odierna società globale mette in comunicazione i più diversi generi di conoscenza e di esperienza: scienze, musica, arte e gastronomia fino a pratiche sociali e politiche. Come fosse un fisioterapista di una palestra virtuale, dove chiunque può recarsi per modificare quella fastidiosa postura patriarcale che ci affligge da una vita, il filosofo femminista propone il suo personale allenamento ad una “convivialità”, che se praticata con costanza, ci permette di sciogliere le contratture di un sistema di potere gerarchico che non riconosce e apprezza l’altro da sé.
Questa premessa mi serve per raccontare di un calendario che a Udine sta facendo parlare di sé, quello per il quale l’anno scorso gli avvocati del foro udinese si sono messi in posa con alcuni scatti di beneficenza in bianco e nero; quest’anno “Historie de la Chatte. Apoteosi dell’inenarrabile”, la quarta edizione del calendario, punta l’obiettivo su ben altri orizzonti, prendendosi libertà non concesse. La libertà degli uomini di poter parlare del corpo delle donne facendone facile metonimia: una libertà che contro di loro non tollererebbero mai e che invece per sé stessi avocano di diritto. Le critiche ricevute sono state tante ma non unanimi, e per questo motivo bisogna essere molto severi, soprattutto su questo punto, che è quello fondamentale, probabilmente il più importante. Attraverso un prodotto di ordinario senso comune, al pari del fischiare dietro ad una ragazza per strada o di una “mano morta”, si celano una violenza e la negazione del diritto delle donne di avere le nostre stesse libertà: ovvero viene imposta una gerarchia di potere che obbliga tuttǝ a stare al proprio posto, ovviamente più basso del nostro.
Dobbiamo quindi dire no a questo calendario che è un ostacolo agli spazi di esercizio dell’altrui volontà soggettiva e una palla al piede a ogni forma di reale autodeterminazione individuale e collettiva. Ognuno è responsabile delle proprie azioni ma la responsabilità di tutti, quella di genere, quella che ci deriva dal sistema di potere patriarcale, ci porta a riconoscere e a rifiutare, sempre e comunque, una postura sociale: un’educazione frutto di pratiche consolidate, ovvero quella del fare come pare e piace.