Mentre in queste ore si stanno alternando momenti di forte speranza ad episodi di estrema drammaticità, il Friuli Venezia Giulia si è mobilitato nel nome della pace e contro la guerra in Ucraina.
Durante il fine settimana diverse sono state le manifestazioni di sostegno e solidarietà al popolo ucraino aggredito dalle forze armate russe come non sono mancate le voci critiche che hanno cercato di esprimere un pensiero pacifista e contro la guerra ma consapevole dei rapporti di forza in campo e dell’ evoluzione degli equilibri geopolitici in corso. Riportiamo di seguito l’intervento di Silvia Di Fonzo per USB a cui sabato alla manifestazione per la pace di Trieste è stato impedito di parlare.
“Su un punto bisogna essere chiari: il blocco di potere che rappresenta Putin è espressione di quella parte della società russa che si è avvantaggiata pensando di ritagliarsi un posto di rilievo nella globalizzazione neoliberista. Il campo si è ora spostato dalla “guerra dei nervi” a quella effettivamente guerreggiata. Mosca il primo giorno ha colpito le forze armate e le infrastrutture ucraine, ma la guerra sta ora continuando con la distruzione di obbiettivi civili a Kijev e in tutto il paese seminando morte e terrore. L’invasione era stata paventata da settimane dagli organi di informazione occidentali che riproducevano il punto di vista dell’intelligence anglo-americana. Quella che sembrava essere solo propaganda di guerra occidentale alla fine si è dimostrata una profezia che si auto-avvera.
Putin, riconoscendo le due auto-proclamate Repubbliche Popolari del Donbass (solo dopo 8 anni della loro difficile esistenza, il che la dice lunga sul grado di coraggio politico mostrato), con l’azione militare di questo giovedì ha posto fine alla strategia di logoramento portata avanti dall’Occidente, che fino ad oggi non ha mai voluto seriamente rispondere alla legittima aspirazione di sicurezza russa minacciata dall’allargamento ad est della NATO, dopo il crollo dell’URSS. Scatenando l’intervento militare in Ucraina, l’allargamento della NATO ad est è stato interrotto, ma al prezzo di “aprire il vaso di Pandora” in un contesto di deterioramento delle relazioni diplomatiche dagli esiti incerti. Mosca, di fronte all’incapacità della diplomazia occidentale di intavolare un minimo percorso negoziale che portasse alla risoluzione della “questione ucraina” e aprisse alle richieste russe sulla neutralità dell’Ucraina, ha giocato la carta del fatto compiuto scompaginando le carte ma alimentando una escalation estremamente pericolosa.
Il percorso negoziale per scongiurare il proseguimento della strage era iniziato nel 2014, subito dopo il colpo di stato che ha portato al potere un museo degli orrori di oligarchi e neo-nazisti filo-occidentali. Dopo che le manifestazioni di scontento popolare nella Piazza Indipendenza di Kijev (Majdan Nezalezhnosti) nella primavera del 2014 sono state strumentalizzate coll’appoggio degli USA e dell’UE e trasformate in un golpe con la cacciata del presidente eletto Janukovich, si erano mosse le diplomazie europee ed in particolare Germania e Francia dall’una e Russia e Bielorussia dall’altra parte. Nacquero così gli accordi di Minsk che prevedevano:
a) un immediato cessate il fuoco sul fronte del Donbass coll’arretramento delle armi pesanti dalla linea di contatto;
b) scambio di prigionieri;
c) modifica in senso federalista della costituzione ucraina;
d) riconoscimento alle provincie del Donbass (Lugansk e Donetsk);
e) uno statuto di autonomia speciale simile a quella del Trentino Alto Adige in Italia.
Il Governo di Kijev, dopo un primo scambio di prigionieri, si è rifiutato di dare attuazione agli accordi di Minsk continuando l’offensiva militare per l’annientamento delle repubbliche popolari di Lugansk e Donetsk. E’ iniziata così una guerra che dura da 9 anni che è costata 20 mila vite umane, di cui 14 mila abitanti del Donbass ed almeno 200 bambini. La Rada ucraina ha messo subito fuori legge il Partito comunista cacciando i suoi deputati proibendo nel contempo l’uso della lingua russa negli uffici e nelle scuole. Ciò ha provocato prima la reazione della popolazione della Crimea che in seguito ad un referendum si è staccata dall’Ucraina aderendo alla Federazione russa nonché la proclamazione delle due repubbliche popolari di Donetsk e Lugansk, a maggioranza russa nel Donbass. Intanto la NATO addestrava le milizie naziste nelle basi installate nei vari paesi orientali, in combutta con i grandi proprietari ucraini che le trasformarono in veri e propri eserciti personali. Se l’esercito ucraino in Crimea si era dovuto arrendere senza combattere alle truppe russe, nel Donbass le milizie naziste sono state inserite direttamente nell’esercito ucraino. A dirigere i golpisti furono le milizie naziste di Pravy Sector, le stesse che il 2 maggio di quell’anno assaltarono la casa dei sindacati di Odessa, uccidendo decine di militanti sindacali, strangolando una donna incinta di 8 mesi con i fili del telefono, bruciando vivi e gettando dalle finestre dei piani alti molti giovani attivisti, in tutto 48 persone. Tristemente famosi per il grado di efferatezza sono stati gli atti criminali del battaglione Azov, anche se nascosti dalla stampa occidentale. Su questo non può esserci ambiguità ed equidistanza tra USA e NATO, vero innesco della crisi ucraina, e la Federazione Russa, messa così con le spalle al muro ma incapace (essa stessa) di trovare una soluzione che non fosse l’adozione dello strumento militare.
Di questa storia TG e giornali non parlano, ma è alla base della secessione delle Repubbliche del Donbass autoproclamatesi indipendenti a seguito di un referendum popolare e nate per proteggere le comunità russe e russofone in Ucraina dall’aggressività dei nazionalisti e dei fascisti insediatisi al potere a Kiev. La forzatura russa non può che concepirsi all’interno di questa nuova configurazione dei rapporti di forza internazionali, dove la “super-competizione tra “blocchi” impedisce ormai la creazione di una cornice condivisa di relazioni e di governance comune delle relazioni internazionali nel XXI Secolo. Tutte le leadership occidentali hanno dichiarato che con la fine dell’URSS la Guerra Fredda era finita, che si aprivano per il mondo sorti progressive e di pace mentre hanno scatenato la guerra in Europa nel 1999 in Jugoslavia, invadevano l’Afghanistan nel 2001 e l’Iraq nel 2003.
Come USB ci impegneremo senza esitazioni nel movimento contro la guerra. Per fermare i bombardamenti e l’escalation, ma anche per riaffermare l’uscita del nostro paese dalla NATO e lo smantellamento delle basi militari Usa/Nato in Italia, a partire dalle bombe atomiche stoccate nelle basi di Ghedi ed Aviano. Ci batteremo con ogni mezzo necessario affinché l’Italia non sia coinvolta in una eventuale guerra della NATO nelle sanzioni di guerra che colpiranno più le classi popolari nel nostro e negli altri paesi che la Russia.”