La degenerazione della democrazia italiana raggiunge una ulteriore tappa dolorosa con il governo Draghi, se con l’inefficiente e fasulla alternanza tra centrodestra e centrosinistra che ha caratterizzato la Seconda Repubblica, la fase dell’eterna attesa di un approdo alla transizione mai compiuta, nella quale l’apparente possibilità di scelta in realtà nascondeva l’uniformità delle opzioni in campo economico-sociale, si poteva parlare di post-democrazia, oggi, con il banchiere al governo con la benedizione dell’Ue e del Quirinale, possiamo dire che siamo precipitati in una sorta di inedita democratura, un regime oligarchico che salva le apparenze formali, mentre nella concretezza del proprio funzionamento a contare è il potere di ristrettissimi circoli finanziari e politici.

Una forma di governo che vede un uomo solo al comando, anzi, nel caso del banchiere, un messia temuto e riverito da tutti, che risponde ad un superclan dell’élite economica e finanziaria transnazionale che ha imposto un pensiero unico attraverso un controllo capillare dei media e una monocultura finanziaria che ha il compito di costruire una immagine di mondo senza alternative praticabili, grigio e uniforme, asfittico e chiuso come un bunker. Dalla post-democrazia alla democratura il passo è stato breve, soprattutto per un paese come il nostro che dal ’92 ad oggi vede l’affacciarsi nei momenti topici di una nazione in perenne deficit di statualità sovrana della “necessità” autoimposta di governi tecnici che altro non sono stati che temporanee sospensioni della normalità democratica, della fisiologica dialettica maggioranza-opposizione, del conflitto tra opposte visioni del futuro, per costruire un ambiente politico e istituzionale depurato da scontri politici e contese ideologiche, neutro, nel quale produrre decisioni esclusivamente market-friendly, guidate dal dogma della concorrenza e dell’infallibilità del mercato.

Questo è il nocciolo ideologico della proposta Giorgetti, autore di un nuovo Preambolo 2.0 che, nelle intenzioni dei suoi mandanti veri, Confindustria e tutta quella galassia produttiva installata nel centro-nord Italia che vuole gestire i danari del Pnrr, dovrebbe sancire una nuova fase storica per il nostro paese e per il capitalismo italiano, segnata da una parvenza di democrazia a bassa intensità, guidata dal Sommo Draghi che, anche dallo scranno più alto, quello del Colle, eserciterebbe il suo dispotismo illuminato, in una sorta di “semipresidenzialismo de facto”, come lo ha definito il padano dall’aria tecnocratica, che muterebbe nel profondo la costituzione materiale del paese. In sintesi, o da Palazzo Chigi o dal Quirinale, Draghi deve essere l’uomo solo perennemente al comando per garantire i poteri economici e finanziari che contano, e ai quali Lui risponde, e solo a loro, mentre partiti e parlamento sarebbero ridotti a “grigi bivacchi di manipoli”, luoghi svuotati di qualsivoglia contenuto democratico.

Una prospettiva funesta che certificherebbe la morte della democrazia italiana, stritolata tra la gabbia europea e un declino economico che ha impoverito la popolazione, un esito nefasto che dovrebbe essere combattuto a suon di manifestazioni di piazza e scioperi generali, ma che nell’Italia della post-politica che vede partiti ridotti a comitati elettorali del leader di turno è una chimera anche il solo pensarlo, basti dire che il dibattito pubblico è stato monopolizzato per settimane dalla lotta ad un fascismo immaginario che non esiste nella realtà, e che i sindacati hanno riposto in un cantuccio, in attesa di tempi migliori, anche la timida idea di scioperare contro la manovra. Mala tempora currunt.