L’articolo sulla Boldrini di Selvaggia Lucarelli sul Fatto Quotidiano ha illuminato uno spaccato di un interno borghese della sinistra di potere, mediatico e politico, come è nella realtà, rispetto alla sua abituale narrazione veicolata dalla stampa compiacente e da una certa televisione corriva. Un piccolo mondo ottocentesco lontano dalla immagine “liberal” e alla moda che le tante Boldrini d’Italia amano dare di sé, ovvero di donne che si impegnano allo spasimo per i diritti delle loro consorelle, disposte a tutto pur di vedere l’avanzamento femminile nel campo dei diritti civili, nell’accesso alle cariche pubbliche e nell’acquisizione di posti di vertice nella Pubblica amministrazione e nelle aziende.
E invece…Nella situazione concreta descritta dalla Lucarelli, che è riuscita a far parlare una collaboratrice domestica della ex presidente della Camera e una collaboratrice parlamentare, emerge una ben diversa, e più prosaica, realtà, fatta di sfruttamento, di liquidazioni non pagate, di lettere legali tramite patronati, di stipendi risicati pagati da cui la malcapitata doveva detrarre alloggio e viaggi in treno sempre più costosi, di telefonate notturne a base di urla se nell’hotel prenotato dalle collaboratrici tuttofare l’augusta politica era infastidita da troppi rumori, di collaboratrici parlamentari costrette a comprare trucchi e a prenotare parrucchieri, compiti non previsti e svilenti.
Ne viene fuori l’immagine della piccola padroncina “aziendalista” più che quella della moderna leader “progressista” tutta diritti e campagne politically correct, anzi, qui di correct c’è ben poco…E l’aspetto più interessante della vicenda sarà vedere la reazione delle donne, in primis, e poi di tutto l’ambiente progressista, alla triste realtà scoperchiata, perché se al posto della Boldrini ci fosse stato un uomo, il brutto e cattivo eterosessuale bianco che è diventato il nemico numero uno delle donne intellettuali che combattono il patriarcato, sarebbe stato esposto alla pubblica gogna senza pietà, ma adesso che al centro della scena c’è una donna, anzi, la Donna Progressista per eccellenza, si notano strane reticenze e improvvisi pudori, ritirate tattiche e scartamenti di lato.
Si avrà il coraggio di guardare in faccia la verità? Difficile, se non impossibile, perché bisognerebbe arrivare al cuore di tenebra di un certo progressismo, e ammettere che da tempo il trono è vuoto, che il centro politico ed emotivo non viene più occupato dalle condizioni materiali di vita dei milioni di subalterni e sfruttati, dall’alienazione di strati maggioritari delle popolazioni spossessate di diritti e di strumenti concreti per esercitarli, ma da questioni secondarie e inessenziali, tipo la raffica di proposte farlocche alla Letta, per esempio, dal voto ai sedicenni al sempreverde Erasmus, o da declinazioni interessate di questioni importanti, come il tema di genere o quello dei migranti, che vengono svuotate di senso.
L’aver occultato, e negato, la contraddizione principale, quella tra Capitale e Lavoro, in favore di tutta una serie di contraddizioni locali e decentrate rispetto al cuore del problema, ha prodotto la Boldrini, e le tante Boldrini d’Italia, capaci di agitare le questioni di genere, etniche, identitarie, ma in senso astratto e fuorviante. Ovvero, impregnate di falsa coscienza. Le masse, anche quelle disorientate e sconfitte dalla globalizzazione del capitale, hanno scoperto il giochino e se ne sono allontanate, rifugiandosi o nell’astensione o sotto le sottane del populismo trionfante. La vicenda Boldrini dimostra con chiarezza, se ce ne fosse ancora bisogno, che la Sinistra o è visione e prassi critica volta a mutare le coordinate di fondo del contesto e dell’agire sociale, oppure non è, molto semplicemente. Anzi, si autoriduce a caricatura grottesca che mima i comportamenti del Potere.